Se mi chiedessero qual è il tratto principale del mio carattere, in quei giochi a tre, dieci, quindici domande che fanno furore sulle riviste, direi comprensione, nel senso di compassione, non nel senso di “pena” che non è carino, ma nel senso diciamo buddista – toh – del termine.
Non “empatia”, attenzione, ma proprio nel senso di “magari non ti comprendo e non ti condivido ma capisco e/o cerco di capirti anche o meglio soprattutto se proprio non condivido quel che dici. Comunque io faccio di tutto per non giudicarti, e sicuramente non mi sentirò mai migliore di te.”
Molti la chiamano tolleranza, ma a me questo termine mi da’ un fastidio epidermico.
Tollerare significa questo:
minchia, non ti sopporto, ti vorrei vedere a piedi in giù appeso a un gancio, ma che devo fa’, ti tollero.
Si tollera la puzza tremenda su un intercity, si tollera la pioggia battente sulla testa quando non hai ombrello, si tollera il caldo maledetto di Caronte.
Non si tollera una persona di colore diverso, che mangia cose diverse da quelle che mangi tu, che professa un fede diversa dalla tua, che ha diversi gradi di discrezione dalla tua, che ama i funghi invece delle carote.
Non si tollera una persona diversa da te perché, vivaddio, siamo sì diversi, sennò sai che strazio sarebbe la vita e sai dove staremmo oggi in termini di evoluzione, bloccati tra la caverna e la palafitta. Siamo meravigliosamente diversi e più che tollerarci dovremmo imparare a capirci, anche quando non ci comprendiamo.
Ma la categoria dei “tolleranti” può nascondere le più pericolose delle persone.
Me lo sono confermato leggendo un articolo su un inserto, non ricordo se IO donna o D donna del Corriere o della Repubblica. Era un interessante articolo sui Vegani, raccontava di uno studio molto dettagliato fatto da certi psicologi e sociologi che si erano resi conto che il Vegano è spesso la meno tollerante della persone, nel senso che la loro inconscia convinzione di comportarsi moralissimamente da’ loro come una sorta di bonus morale, per cui non si rendono conto di essere profondamente irrispettosi – e quindi per certi versi immorali – in altri campi e/o soprattutto verso le altre persone, verso le quali si ritengono superiori.
Così mi sono messa a riflettere sui razzismi tremendi di certe persone che a tutti gli effetti ritengono di aver fatto grandi scelte morali o, poiché appartengono a cosiddette minoranze, di avere appunto un’esclusiva sulla sofferenza o sulla fatica.
Io ho raccolto, solo nella mia memoria, solo in una manciata di minuti:
– l’amica per l’appunto vegana che mi diceva che chi mangia la carne è equiparabile ai nazisti. (concetto che ho sentito più volte e che mi fa venire i brividi: per chi è sensibile all’idea della Shoah, sentir persone equiparate a una pur simpaticissima mucca, ti fa chiedere a cosa sia servito il quinto secolo avanti Cristo).
– l’amica gay che mi dice che sposandomi faccio un’azione reazionaria, che modi sono i miei? Invece di sostenere il fatto che i gay non possono sposarsi, io me ne fotto e mi sposo (?)
– l’amico sportivissimo che mi spacca quelli che non ho per come mangio, se bevo un bicchiere o anche tre di vino, parlandomi del picco glicemico e non so che altro e dandomi la sensazione di stare mangiando sugna e bevendo arsenico. Al mio: ma io ti dico niente se non vedi un cucchiaio d’olio da sei anni? la sua risposta: tu non capisci. Naturalmente altezzoso.
– l’amico di religione diversa che mi dice che sto massacrando il mio karma. Quello che mi dice che finirò dritta all’inferno.
– l’amico che ha fa l’assicuratore che mi dice che chi fa cinema, o teatro, è un bambino mai cresciuto che non vuole vivere una vita da adulto, e bla e bla e bla. Al mio “ma guarda che io pago le tasse e pure tante e lavoro diciotto ore al giorno, quando lavoro” egli risponde “Sì-vabbè”.
– quelli che dicono che avere animali fa venire malattie.
– ultimo esempio in ordine di tempo, ieri sera, una persona mi dice “come puoi seguire il calcio?” (ndr non era nella categoria “non dovresti seguire questi europei, ma genericamente nel come può piacerti il calcio) e io rispondo: “in che senso?”, l’altra persona chiarisce: “sai quanto li pagano i giocatori?” io “???” poi chiedo: “scusa tu lo guardi un film con Kate Winslet, Cate Blanchett o Johnny Depp?” risposta “beh, se è bello sì”. Io: “scusa e allora non è un intrattenimento in cui chi lo fa è pagato un sacco di soldi?” risposta: “Beh a me il calcio non piace”.
Allora cerchiamo di capirci: A TE non piace quindi dobbiamo trovare una ragione per cui è oggettivamente cosa sbagliata o peccaminosa?
Stavo per alzarmi e urlare:
Dunque…un attimo di attenzione ragazzi, organizziamoci. Chiamate subito la FIFA, la stampa mondiale: a questa (indicando) persona non piace il calcio.
E tutti: Oddio, no! Ma perché non lo hai detto prima… Dio, scusaci…
Un comunicato stampa avrebbe sancito la chiusura definitiva di tutti i campionati mondiali, anche nei campetti sabbiosi nel terzo mondo, negli oratori, sarebbe stato vietato il giuoco della palla, ricordando sempre, con tanto di foto in posa presidenziale, che a quella persona il calcio non piace e non è AFFATTO carino che lo si giuochi e men che meno che lo si segua.
La cosa che mi fa impazzire è quando invece di dire: a-me-questa-cosa-non-piace o io-questa-cosa-non-la-faccio e amen, ogni confronto tra idee diverse debba diventare :
io ho ragione
tu hai torto
da cui si evince
io sono meglio.
In qualunque gesto del mondo possiamo trovare qualcosa di sbagliato o peccaminoso, se ci impegnassimo nel gioco dietrologico, no?
Gli esempi suddetti provengono da persone di sinistra, impegnate, ecosostenibili, spesso adottatrici di bambini a distanza, foraggianti mille associazioni dal wwf al salvataggio dei bambini operai dalle fabbriche della Mattel, che citano a man bassa Pierpaolo Pasolini dimentichi del fatto che fu proprio lui a dire che morale è chi dice no a se stesso, moralista chi dice no agli altri.
Sono persone talmente tolleranti che non gli sta mai bene quello che pensi, quello che fai e come lo fai. Lo sanno loro ciò che è giusto, ti giudicano, ti condannano o al massimo – paternalisticamente – ti dicono loro come dovresti vivere e pensare. Persino se dici che ognuno dovrebbe vivere e lasciar vivere nel pieno rispetto gli uni degli altri, che a te non da’ fastidio chi fa cose diverse da te o la pensa diversamente da te, e se pure ti da’ fastidio al limite tenti di proporre le tue idee tentando di non giudicare, ti dicono eeehhhh, dimentichi i delfini e le buste di plastica, dimentichi il lancio delle capre dalla torre, dimentichi questo e dimentichi quello, non ti impegni, non partecipi, non provochi.
Non perché tu non lo faccia: nemmeno se ne informano, di come tu viva, se e come tu faccia la tua parte, ma ti aggrediscono perché non lo fai come loro ritengono giusto. E soprattutto ti impongono il loro show di quanto sono morali loro.
Da questo punto di vista quell’articolo era illuminante, non hanno tanto torto, quegli studiosi.
Per sentirsi migliori sono in servizio perenne nel giudizio morale, dall’alto in basso, non si prendono un giorno di pausa, mai. Nel mio caso spesso accade anche per un mio tremendo difetto, purtroppo sono ironica. Quindi spesso anche una battuta può diventare fonte di tre ore di mina paternalista in cui tu tenti di entrare un attimo con l’uso di vari “no..” “guarda…” “era una battuta…”.. “aiuto…”
Tolleranza è un termine sbagliatissimo e razzista, come viene usato in quest’epoca. Il punto non è tollerare chi non la pensi come noi, ma cercare di capire cosa pensi e perché, e se non lo condividiamo per ragioni profondissime, se proprio ci irrita lasciarlo andare per la sua strada ma non fargli la predica. E’ naturale che si possa provare sdegno verso un assassino, un delinquente, un ladro, un dittatore. E’ giusto chiedere regole e leggi perchè chi viola la comunità venga fermato o punito. La cosa che a me fa paura è che i moralisti travestiti da tolleranti sono capaci di chiamare assassino uno che mangia un pollo, delinquente uno che usa la lacca spray, e via così.
Le parole sono importanti, e anche i distinguo.
Tiro fuori un concetto di chi le cose le ha dette bene e senza girarci troppo intorno: ma lanciala tu la prima pietra, visto che hai capito tutto della vita, no? Io di certo non me la sento.
Quelli che non hanno mai un dubbio, non si domandano mai se non potessero aver torto, o non hanno alcuna compassione e comprensione per chi ha un vissuto diverso, priorità diverse, un’anima che non conosci nemmeno lontanamente e non puoi quindi conoscerne né le ragioni né le motivazioni, beh quelle persone non si chiamano tolleranti, la lingua italiana ha termini più calzanti. Magari fondamentalisti, al più fanatici.