tutto quello che vorreste sapere sull’estate (come concetto e non come stagione) e della liberatorio “Sì! il caldo fa schifo!”

Qualche giorno fa stavo a cena con una persona piuttosto famosa, quindi non si dice il nome, che citava un’altra persona famosa non più vivente che era sua amica, riportandone una frase:

La vita si può riassumere in venti estati utili.

Quanto è vera questa frase?

L’estate è una stagione che ha senso quando si è bambini, al massimo giovani, ci siamo detti a quella cena, perché in effetti se ci pensiamo bene le cose veramente importanti, le svolte, sono accadute d’estate.

O almeno, per la maggioranza della gente è così.

Ci siamo chiesti perché, in quella chiacchierata e la risposta del mio intelligente interlocutore è stata che questo accade perché la gente in vacanza può dimenticarsi di chi è e fare finta di essere qualcun altro.

Pensateci, tornando alle venti estati utili che magari vi verranno in mente subito, con un oooooohhhhhh nostalgico, e che riguardano sicuramente infanzia e giovinezza.

D’estate, la gente se la racconta.

Visti in costume da bagno in spiaggia o con le scarpette da trekking in montagna siamo diversi.

Non siamo alla scrivania del nostro lavoro, non siamo i più massacrati della classe, non siamo quelli che smadonnano alle otto delle mattina in fila in macchina.

Siamo o belli, cioè magri e abbronzati, o brutti, cioè bianchi e con la panzetta, abbiamo il costume a boxer o a mutanda, ma ci sentiamo liberi e quindi più eccitati, con più ormoni, più spacconi e pronti a raccontarci diversi da quel che siamo, non solo nella vita quotidiana ma persino in gusti e opinioni.

Vi diranno: perché siamo più veri.

Bullshit, casomai si è falsi al midollo, perché se “quello” fosse il tuo vero te, avresti fatto delle scelte persino folli, ma è “quello” che avreste sguinzagliato nell’alea del mondo.

Da bambini, da giovani, l’estate è sospensione dei doveri e si vive in un recinto genitoriale a maglie più larghe, ecco perché abbiamo avuto il tempo di sognare, innamorarci, fare l’amore per la prima volta o vivere una qualche fantastica avventura collettiva contro un direttore del campeggio che faceva chiudere la discoteca.

Ma l’estate, in sé, non è un concetto, è una stagione.

Una delle quattro stagioni, che tutti definiscono “la più bella” non perché possa oggettivamente essere definita così, ma perché inconsciamente la associano a quelle venti estati utili.

Passati, diciamo i trenta a voler essere generosi e omettendo i patetici che si tingono i capelli e fanno finta di avere ancora vent’anni, cercando di celebrare ogni anno la rappresentazione di quelle estati fatte di tedesche rimorchiate e falo’ notturni, l’estate non è che la sorella gemella dell’inverno, cioè sofferenza e privazione.

D’inverno fa troppo freddo, piove, fa buio presto e la metà di questa stagione eccessiva coincide con la festività del Natale che ricorda a chi è solo che è solo, che fa litigare le famiglie perché ci si arriva con una tale tensione e retorica, con una tale aspettativa che basta una frase per scatenare le tragedie inespresse. Nel periodo di Natale aumentano i suicidi e i litigi (vedi mio post sul Natale ndr).

D’estate fa troppo caldo, certo quest’anno ce l’ha messa tutta col caldo più caldo degli ultimi 150 anni, ma tant’è. Fa caldo.

Ad agosto le città si svuotano, chi è solo si rende conto di quanto sia solo, i vecchi muoiono e li trovano a settembre, chi non è in coppia va in ansia perché c’è una tale retorica ed aspettativa sulla leggenda del flirt estivo che basta niente per sentirsi sfigati. Aumentano i suicidi, gli omicidi e le manifestazioni di follia perché il caldo fa male al cervello. La gente si mette in code di ore sull’autostrada, fermamente e militarmente decisa a

DI-VER-TIR-SI

e siccome poi non accade nulla, allora litigano di più e più spesso, sono delusi perché pensano che solo loro non si stanno divertendo, tornano a casa con un senso di vuoto che non è dato dal ritorno alla normalità ma dal fatto che, non lo ammetteranno mai, si sono stressati e nulla è cambiato nelle loro vite. Tornano quelli della scrivania, i più massacrati della classe, quelli con la macchina brutta in fila nel traffico o che il cassiere del bar sotto l’ufficio finge di ignorare. Non basta mica un’estate per cambiare chi sei.

L’estate è la stagione preferita dalla pubblicità e dai pubblicitari – insieme al Natale, ovvio – perché da decenni si presta al mercato del sii felice con il nostro prodotto.

Ti dicono che l’estate è questo:

quando poi è soprattutto questo:

(esempi mimimi in positivo e in negativo)

Fermano la vita, fermano il mondo e tu devi essere in costume con tanti amici e al fianco una strafiga o uno strafigo da paura, oppure in famiglia con mamma bionda e magra, bimba con trecce e bimbo birichino con papà che gli fa gomitino d’intesa; o anche tutti con la camicia a quadri in montagna, a fare cin cin con la birra, o infine nelle città d’arte miracolosamente puliti e senza una bava di sudore, fotografandosi l’un l’altro a reggere la torre di Pisa.

L’importante è che mangi un certo gelato, bevi una certa bibita, usi una certa agenzia di viaggi.

Un ridanciano, allegro e spensierato popolo che emigra con il sorriso bianco stampato in faccia.

C’è gente che è pronta a rifiutare il fatto che suda e il sudare fa schifo, che non riesce a trovare una farmacia aperta per chilometri e questo non è comodo, che hanno speso metà dei risparmi per andare in una spiaggia che pur quando è bella e pulita, dopo venti minuti che stai lì ti assale una strana ansia: non ti stai divertendo, hai la panza e ti senti bruttissimo/a, ti stai annoiando. Allora diventi Filini e inizi a spaccare gli attributi ai vicini di ombrellone organizzando partite di racchettoni, sfinisci tua moglie o marito con volantini pubblicizzanti un imperdibile torneo di mangiate di cocomero o una gita per raccolta di funghi (a seconda di dove ti trovi, ovvio).

Stanno seduti sul lettino o passeggiano in montagna, rimangono in città deserte di cui dicono “aaaah che meraviglia finalmente non c’è traffico” ricacciando lontano il pensiero che si sentono soli e non hanno niente da fare, che i famosi romanzi che “non hanno mai tempo di leggere”, non li stanno leggendo, che in sintesi si stanno annoiando e faccia a faccia con se stessi non è che si sentano esattamente a proprio agio, che invidiano il ventenne che guarda la ventenne con occhi dolci sul bagnasciuga ricordando che l’estate utile numero 4 è stata quella di quel ragazzo, quella ragazza incredibile per cui hanno perso la testa e adesso chissà che fa; sono segretamente smarriti perché non si stanno affatto “divertendo”, se sono fuori casa manca loro il proprio cesso, gli fa male la pancia a mangiare quella strana roba egiziana, si sentono solissimi in una città deserta e il sudore gli ha fatto venire i puntini dietro le ginocchia.

Ma non lo ammetterebbero nemmeno sotto tortura, perché da che sono nati gli è stato insegnato che Natale è bello e si canta sotto l’albero e d’estate si corre in bikini sulla spiaggia; che caldo è più bello di freddo perché ci spoglia (cosa che in molti casi sarebbe meglio di no) invece di imbacuccarsi.

Ammettiamolo:

troppo caldo è brutto

troppo freddo è brutto

quel che è perfetto del creato, in ogni cosa, come ha capito bene l’omino meditante sotto l’albero, è il giusto mezzo.

La primavera e l’autunno sono il giusto mezzo,  ma nessuno si è ancora inventato niente per costruire una retorica su queste stagioni, non certo una retorica commerciabile,  perché poeti e pittori – gli unici a interessarsene fino ad oggi –  non contano. O meglio, non vendono.

Non siamo nemmeno più capaci di sentire il nostro corpo e i nostri bioritmi, al punto che se ci educassero bene fin da piccoli e ci abituassero ad essere un po’ più liberi solo in stato d’apnea,  potremmo arrivare a dire che l’ideale è vivere senza ossigeno.

Andare via, lasciare tutto, sentirsi liberi, dovrebbe essere un lusso o anche una follia che ci dovremmo concedere quando ci va, e sì che in Italia le ferie si possono pianificare ormai da decenni.

Perché ammassarsi tutti ad agosto quando ci sono innaturali 36- 40 gradi, umidità al mille per cento, quando la natura è secca e la luce accecante e piatta?

Come si può dire che l’estate è “bella”?

Ma finchè il mondo che ci siamo costruiti regalerà all’infanzia e alla gioventù come uniche zone di libertà questa stagione e la nostra vita potrà annoverare venti estati utili, continueremo a nutrirci di questa grande illusione, di questa tensione a una madeleine che non tornerà più.

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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