SVISTE (ovvero è inutile che fai le cose in grande se dimentichi l’essenziale)

Festival di Roma, il nostro festival de casa, per dirla alla romana, per l’appunto. Soprattutto per chi lavori nel cinema, intorno, sopra, sotto o a proposito di cinema e viva a Roma, da quando questa “Festa del cinema” esiste, è una specie di strano crash emotivo tra due cose che fino a qualche anno fa erano ben distinte: essere a Roma a casa, o partire per andare un paio di giorni a un Festival (Venezia, Cannes, Berlino, Toronto che siano).

Andare ad un Festival, quindi, per chi lavori nel cinema, intorno, sopra, sotto o a proposito di cinema, è sempre una sorta di fuga. Albergo, panini schifosi o senza soluzione di continuità cene lussuose, badge che penzola al collo e poter dire “Eh, ma sono fuori Roma” al direttore di Banca che chiama e non per farti un salutino.

A Roma risulta strano, diciamocelo. Pagare le bollette, prendere il figlio a scuola e passare all’Auditorium per vedere un film, al Bristol per un convegno, e poi passare a fare la spesa e tornare a casa.

Bizzarro.

Sono stata due volte ospite al Festival – o Festa del cinema, non s’è ancora capito bene – di Roma. Una nel 2008, l’altra l’anno scorso, e come risponderebbe un quindicenne alla domanda “Com’è stato” io rispondo “Era occhèi” o anche “Fico”.

Però c’è una cosa che non capirò mai né mai mi spiegherò della sede principale in cui si svolge:

L’AUDITORIUM.

Avete presente l’Auditorium di Roma, no? No?

E’ questo.

l'imponente auditorium

 

 

Progetto architettonico molto ambizioso, bello a vedersi per alcuni, aberrante per altri, sicuramente grande. Tante sale, una libreria, un paio di bar, che diventano tanti di più durante il Festival, che si arricchisce di eleganti localini prefabbricati molto lounge. Ci stanno pure dei gruppetti che suonano dal vivo con tanto di batteria, la’ fuori.

E’ pieno di gente che va e viene, folle che corrono con accrediti o biglietti verso le sale, programma alla mano, tutti contenti. C’è da dire che il Festival – o Festa – è molto amato e frequentato dai romani.

Una cosa dunque mi sfugge, e mi pare che sia sfuggito agli architetti prima e sfugga totalmente a chi lo gestisce oggi.

 

I – CESSI

 

Per andare al Festival di Roma, – o Festa – bisogna andarci col pannolone: pur se parliamo di un non grande pisciatore, passando la giornata all’auditorium perché hai deciso di farti una cineada di film uno via l’altro, una pipì ti verrà (si spera non altro).

Dunque: in tutti i piani e dedali dell’auditorium, su ciascun piano ci sta qualche cessetto singolo sparuto.

Sotto, al pianterreno, ci stanno un paio di zone bagni più attrezzate, di quelle stile autogrill (molti cessi, una fila di lavandini)

Nei giorni del Festival – o Festa – se tu vai a vedere un film in sala Petrassi, Santa Cecilia, o quel che l’è ti fai tipo quattro rampe di scale, arrivi su, aspetti. Ti viene la pipì? Muori. Perché le hostess, non molto gentilmente, alle signore pur anziane e claudicanti che si avviano verso i suddetti bagnetti singoli magari rassegnate a un po’ di fila, dicono:

“No, è chiuso, non si può”.

E la signora, lo sguardo panicato e liquido, risponde (anche un po’ intimidita) “Ma io dovrei andare in bagno, dove posso andare?”

Quella, quasi sadica, risponde “Giù”.

E a nulla valgono le trattative, i ma non potrebbe… gli abbia pazienza…

No.

Scena vista ieri.

Ogni giorno e volta che sia andata, in questi anni, ho notato lo stesso copione.

Quest’anno mi pare pure peggiorato:ieri dunque vedo questa scena delle povere due signore e per empatia mi dico che in effetti un saltino in bagno prima del film lo farei.

Consapevole della non presenza di un vaso da notte su tutto il piano, decido di andare dignitosamente “Giù”. In fondo sono relativamente giovane e forte, posso fare quattro rampe a scendere e poi a risalire (il numero degli ascensori è minore dei cessi e anche questi non accessibili all’umanità) più qualche metro per raggiungere i bagni stile autogrill più vicini, che ricordo in fondo alla rampa di scale.

Come fossimo in uno di quei film snervanti in cui superato un ostacolo al povero protagonista ne spunta uno nuovo, arrivo davanti al corridoio che porta alle toilette e c’è un cordone.

Un omino in divisa lo sorveglia: mica vorrete pisciare, vero??

Chiedo, con la diplomazia che mi è connaturata:

“Scusi, ma io dove dovrei pisciare?”

Egli, arrossendo un poco per l’espressione  “dove dovrei”, mi dice:

Alla prossima sala a sinistra.

“La prossima sala” sapete dov’era?

Solo duecento metri più avanti, che problema c’è.

Decido di rischiare la colica renale e risalire, sennò perdo il film.

Dunque, registi presenti al festival quest’anno, sappiate che molti dei vostri film saranno visti con l’irritazione e la fretta di andarsene di chi trattiene eroicamente la pipì e di questo bisognerebbe fare una vibrante denuncia contro l’Auditorium di Roma.

Io mi sento un po’ in colpa, a questo proposito, del mio film presentato nel 2008: dura due ore.

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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