Mi sono finta persona socievole quando siamo arrivati in Italia soprattutto per spalleggiare mia madre che è sempre stata molto timida ed era stressata dal gran cambiamento, e mio padre era estremamente preoccupato che “ci adeguassimo”, così per aiutare l’una e far felice l’altro mi sono fatta coraggio e finta molto socievole.
Ma la mia natura era già solitaria, da osservatrice.
Amo l’umanità come concetto e nel tempo ho sviluppato ammirazione per il genere animale di cui faccio parte per le potenzialità divine che ha la nostra eventuale intelligenza, il ruolo e la missione che questo nostro genere ha nella corsa del Primo Motore Immobile dell’Universo che cerca l’equazione perfetta.
Ma non amo stare in mezzo alla gente, stare in mezzo alla gente per averci a che fare, come diceva Seneca, mi fa sempre perdere parte di quel che ho costruito di buono in me.
Al più mi piace stare in mezzo alla gente come fossi invisibile, tipo ieri all’aeroporto, perché li osservo e li ascolto anche con una certa sfacciata insistenza, se ho qualcuno accanto sull’aereo che ha voglia di parlare sono gongolante perché adoro ascoltare le storie umane.
Però se mi trovo in un situazione sociale, soffro. Non amo il chiacchiericcio e mi deprime l’autopresentazione.
Così quando sono nati i social ho trovato una dimensione ideale, vedo e comunico quel tanto che non mi pesi esporre, scherzo o esprimo opinioni senza dover avere questi mefistofelici contatti con la gente, ma soprattutto- pacchia- osservo e studio.
La mattina mentre faccio colazione, mentre aspetto un autobus, un treno, di entrare ad un appuntamento (cui arrivo sempre mezz’ora prima) leggo le storie e i pensieri delle persone.
Ultimamente però mi sono accorta che mi sta venendo una certa nausea e scorro i social come fosse un obbligo quotidiano e mi sto chiedendo perché. La violenza, l’arroganza, la presunzione dell’espressione tipica dell’uomo social mi dà la nausea per ovvi motivi ma non è solo questo.
Per ciò che mi interessa, capire l’umanità e continuare ad amarla attraverso le piccole e grandi storie delle persone senza dover avere a che fare con la gente, questa attività è fasulla, perché nessuno è se stesso o minimamente sincero, in rete.
Banale, si dirà, le persone tirano fuori il peggio, nascoste vigliaccamente dietro una tastiera.
Banale per me meno, il punto è che in questa postura le persone diventano gente, e a me non interessa.
Per continuare ad amare e voler aiutare il percorso dell’umanità, che è la mia piccola personale missione, devo trovare il buono, nelle persone. Quindi ultimamente mi sento in una sorta di impasse con tendenza alla fuga rispetto al mondo social e forse dovrò cercare un altro punto di osservazione.