Una cosa che so da persona con origine multiculturale, è che il senso di appartenenza che sia esso l’illusione di appartenere ad una Nazione, un genere, una religione, una squadra, ha la stesso valore di un cartone animato per bambini. È un infantile rifugio mentale per darsi identità, per sentirsi meno soli, per avere un capro espiatorio da accusare per i propri problemi (l’altro, il nemico), perché si ha paura della morte.
Guardate questo Universo, uno dei molteplici che esistono, pensate a quel primo organismo monocellulare da cui veniamo tutti, pensate a quanto siamo piccoli e quanto silenzio nelle galassie che ci circondano, pensate al miracolo di quell’organismo monocellulare da cui veniamo tutti, tutto ciò che è vivo e cammina sulla terra o nuota nelle acque. Pensate al miracolo per cui dall’evoluzione è nato l’Uomo e al fatto che abbia diverse caratteristiche somatiche perché si è adattato alle terre in cui si è fermato a vivere per più tempo nel suo naturale nomadismo.
Da un’analisi del DNA ognuno di noi scoprirebbe che grazie al nomadismo dei nostri antenati abbiamo dentro di tutto, persino un ragazzo biondo e con gli occhi chiari ha sicuramente in sé un po’ di Africa, di Oriente.
E allora quanto ridicoli siete quando vi dite “italiani” o “tedeschi”, quando cercate di decidere se uno abbia diritto o meno a definirsi in un certo modo per dove è nato e da quanto tempo? Quando scacciate i vostri fratelli umani che nel loro nomadismo cercano una vita migliore?
Non è necessario che arrivino gli alieni come nei film americani per farci rendere conto che non c’è separazione, siamo figli della stessa madre e dello stesso padre, stesso sangue miliardi di volte mescolato in soli 70mila anni che siamo qui, in un immenso creato che sta li da miliardi di anni.