Non so siano peggio coloro che non hanno mai letto un libro, sfogliato pigramente quelli di scuola – quando l’hanno frequentata – e non imparato praticamente nulla o quelli che hanno pigramente sfogliato quelli di scuola – quando l’hanno frequentata – non hanno imparato praticamente nulla e poi si sono messi a leggere da grandi.
L’I-know-after (che chiameremo per comodità IKA) è un personaggio abbastanza inquietante, perché mentre da parte di un/una quattordicenne è il momento giusto, ci sta ed è persino tenero un “tu non sai cosa diceva Seneca a tal proposito”, così come è normale, ci sta ed è persino tenero che non sia consapevole della tempesta ideologica e concettuale che circonda l’intera storia del Sapere, quando invece ti ritrovi davanti un/una adultissimo/a in postura studente della Nausea di sartriana memoria, è situazione che può ucciderti.
Ai tempi dei greci antichi (per chi fosse arrivato alla “G” enciclopedica, sa di che parlo) il Sapere era un obbligo intellettuale ma persino morale e religioso, passando poi per lunghissime epoche per cui è stato un privilegio riservato a pochi, oggi in una parte – non poi così gigantesca – del mondo, è una possibilità data a tutti.
Esistono le Scuole ed esistono le famiglie, esiste il proprio gruppo sociale, esiste la propria personale curiosità per sviluppare l’aspirazione al Sapere fin dalla tenera età.
Ma purtroppo questa bestia strana, il Sapere, è poi diventato un orpello da salotto, un gadget da ostentare, e ci ritroviamo sommersi da una parte dei parvenu, i lettori delle quarte di copertina per intenderci, dall’altra da questi IKA, gli ammorbanti individui che si mettono in cattedra e ti fanno la lezione su quel che in teoria abbiamo assorbito ad, appunto, quattordici anni e scoperto dopo che c’era ancora qualche centinaio di universi da scoprire e miliardo più miliardo meno di dubbi di farsi venire.
Sopratutto si è superato lo shock della rivelazione della vacuità del nozionismo.
Come diceva coso, quel tale, credo un calciatore (lo ricorderà chi è arrivato almeno alla S), il “So di non sapere” è la tremenda frustrazione con cui si è costretti a fare pace intorno ai vent’anni o poco più – normalmente – e da lì si prosegue la propria curiosità e forse un personale piacere per il Sapere con motivazioni un po’ da antichi greci.
Le cose che “sai”, le devi dimenticare, ti entrano nel DNA e forse non ricorderai mai più il nome di quel tale Generale tanto importante in una certa guerra o il compendio totale del pensiero di Adorno, ma il Sapere è quella cosa che andrebbe coltivata e di cui ci si dovrebbe nutrire per costruire e migliorare se stessi, per sviluppare pensiero critico e tutte quelle cose lì che non mi pare stiano tanto funzionando con i ragazzini che prendono a parolacce i loro professori (ma questo è ben altro discorso).
I recuperisti IKA sono una realtà ammirevolissima, se ad un certo punto ci si rende conto che vivere in una più o meno gigantesca ignoranza rende quasi inutile la vita umana. Quindi ben vengano.
Ma è abbastanza difficile sopravvivere senza bisogno di drogarsi se ne becchi più di uno/a al mese, soprattutto se ancora non sono arrivati alla N.