La Setta degli Esercenti Estinti

Ho spesso lamentato il fatto che, pur facendo io di mestiere la regista, la sceneggiatrice, insomma avendo un partita IVA in merito ed essendo mio marito un collega, non riusciamo più ad andare al cinema. Ho scritto in questo post le ragioni personali, legate a deformazione professionale e/o di gusto da spettatore ma sono ormai convinta che dietro la questione della fuga dell’essere umano di razza italica dalle sale cinematografiche, ci sia un vero e proprio complotto da parte delle Distribuzioni (e questo è un discorso serio di cui stiamo parlando in sedi più politiche, errori fatti in tema di Leggi e di contributi pubblici che hanno scatenato un Far West dei furbettini e serial killer di film italiani) ma anche degli esercenti stessi, che evidentemente NON vogliono che la gente frequenti le loro sale. Ma proprio nessun tipo di sala, né quelle chiamate di qualità (dove proiettano i cosiddetti film pallosi) né i multisala (film da popcorn e livello di impegno cerebrale da uno a dieci: due, che ci sta e ne abbiamo diritto).

Me li vedo, gli esercenti, in riunioni segrete, vestiti con cappucci neri e paramenti dorati, che si riuniscono in oscure cantine e studiano le mosse per evitare che il cittadino possa in alcun modo comprare il biglietto dei loro cinema, nell’ottica della loro nuova religione, la religione che onora il dio Masok, per la quale un adepto si spinge alla rovina con le sue stesse mani.

O è così o è un complotto, essi sono foraggiati dalle TV pay e Vod, e ogni genere di gestore di audiovisivo non in sala.

Come prova porto due esempi di vita vissuta da parte di due indefessi cineasti cinephile che tentato di osteggiare la setta degli esercenti estinti e mantenendo ciò nonostante il loro amore per il Cinema e le poche regole che questo implica, che per essere concisi constano di: rispetto per l’immagine (il Cinema è prima di tutto immagine, ergo questa va riprodotta più possibile fedelmente alla fotografia pensata e realizzata dal DOP, su indicazioni di un pensiero visivo su cui un povero regista si sarà pure scervellato, nonché andrebbe visto anche nel formato in cui è stato girato, se quel povero regista l’ha pensato in 3D o in Cinemascope una ragione ci sarà) – rispetto per il suono (gente che si è massacrata dal set fino al montaggio ed il mix per una presa diretta coi fiocchi, che va riprodotta in sala come religione comanda) – rispetto per il lavoro degli attori (i film si vedono in lingua originale, il doppiaggio è uno dei principali demoni del lavoro degli attori e del regista).

Quindi per due persone che amano e conoscono il Cinema, lo riconosco, il campo si restringe visto che la maggior parte di Distributori ed esecercenti butta il lavoro della gente in sala alla comeviè, come a dire mettere il ketchup su un ottimo ragù napoletano.

Reperto numero 1. Sala di qualità.

Settimane fa abbiamo il tempo per andare a vedere “La forma dell’acqua”, l’unico film che ci interessasse vedere al cinema da mesi ma appunto non vediamo film doppiati e quindi trovare la sala che abbia il film in V.O. con uno schermo senza macchie di muffa, che sia almeno di due pollici più grande del televisore di casa e con un buon suono, è un’avventura. Troviamo il film al Nuovo Olimipia, quindi in centro (per chi vive a Roma, sa cosa significhi arrivare in centro se non ci vivi). Controllo gli orari inserendo titolo film e nome del cinema sul motore di ricerca Google, vogliamo dire il principale motore di ricerca mondiale?

Direte ma certo, la storia che segue dimostra però che per una persona al mondo non è esattamente così.

Comunque. Questo oscuro motore di ricerca dice che fanno il film alle 17:45. E così noi alle cinque PM, usciamo. Lasciamo la macchina fuori dalla AZTL, prendiamo un bus, arriviamo alle 17:34 ma scopriamo che in realtà il film era alle 17:15, quindi lo abbiamo perso.

Qui inizia la ragione dalla quale mi rendo conto che la nostra battaglia per “riportare la gente in sala” parlando di Cinema di qualità, è persa per una ragione molto facile da inquadrare. Già, ripeto, abbiamo Distribuzioni cui non importa nulla di distribuire davvero la maggior parte dei film, ti sbattono in finte programmazioni con orari fittizi, senza pubblicità né uno straccio di vero ufficio stampa che sappia far almeno parlare del tuo film, dato che è orfano di pubblicità diretta, già ci sono esercenti che per mettere su un film che non arrivi gonfio di premi e tre Angeline Jolie nel cast, chiedono soldi ai Distributori per mettergli il film in sala, e magari te lo sbattono in un solo spettacolo in orario impossibile, insomma già appare inutile e folle pure che le Produzioni si sbattano e rischino la vita per fare film pur fantastici, se non fosse per là speranza del loro destino successivo (Tv, Sky, Netflix, estero etc), cosa succede poi, quando per miracolo un film di qualità arriva in una di quelle sale e giusto perché aveva appena vinto l’Oscar?

Arrivi e il film è ad un orario totalmente diverso, ovviamente prima, non dopo, quindi non mettendoti in condizioni al limite di prendere un caffè e vederti comunque il tuo cavolo di film, e la cosa non è annunciata da nessuna parte se non su un triste cartello stampato in A4 e font Arial, appiccicato sulla porta del cinema.

Dispiaciutissimi per aver perso il film chiediamo alla ragazza come mai ci sia stato questo cambio, io faccio l’ingenuo errore di dirle: “In rete, sul sito, c’era scritto che il film oggi, c’è proprio scritto oggi, sarebbe stato alle 17:45…”.

Lei, l’atteggiamento e il tono che definiremo da radical chic ergo analfabeta che però deve insegnarti come funzioa il mondo perché legge le quarte di copertina dei libri più pubblicizzati, mi risponde: – Ma scusi, dove ha guardato? –

Attenzione, qui necessita un fermo fotogramma: non chiede scusa, non si dice dispiaciuta che il cliente/fruitore non abbia potuto accedere alla sua proposta, bensì mi rimprovera.

Di seguito il dialogo:

-Ho guardato su Google e mi è uscita la paginata collegata a Circuito Cinema. –

-Vabbè, lei guarda su Google… –

– .. sì, ho inserito nome film, nome cinema, ovvio.-

-Ma lei se vuole conoscere la nostra reale programmazione deve telefonare.-

-… telefonare?

-(irritata) Certo! (sottotesto: idiota) Guardi qui..-

Tira fuori volantino del cinema stesso. Che non si capisce perchè dovrei possedere.

– Vede? Qui c’è il numero, oppure digita direttamente il sito del cinema. –

Interviene Lorenzo:

-Ma dovremmo fare tutto questo casino per venire a vedere un film da voi, non dovreste voi comunicarlo…-

Dietro di noi, un conoscente, anche lui regista, è seduto sul divanetto con un altro signore. Intervengono e scopriamo che anche loro avevano bucato il film per la stessa ragione e si erano messi lì pazienti ad aspettare la proiezione successiva, alle sette (cosa che noi non potevamo fare e non vedo peraltro perché un poveraccio dovrebbe bivaccare dentro un cinema due ore solo perché hanno deciso di cambiare l’orario) e il signore dice “Anche sul giornale in effetti diceva 17.45…”

La ragazza si innervosisce:

– Ma noi lo abbiamo comunicato, cioè, lo comunichiamo… penso. (faccia da mentitrice poco portata alla menzogna) Insomma uno prima di uscire telefona! –

E, ad un mio pacato quanto autoevidente riferimento al fatto che facendo così si perdono gli spettatori, cosa triste visto che il Cinema è tanto in crisi, costei dice a me:

-(tono saccente) Signora, il Cinema è un prodotto culturale, non solo un divertimento, la gente, se vuole, si informa. –

Giuro, ha detto così.

Mi ha cazziato, insomma, dall’alto del suo essere tanto culturale e io evidentemente no, visto che invece di farmi in quattro pur di vedere un film, sto lì come una specie di folle invasata a cercare riferimenti su ‘sto Google su quali orari saranno quelli esatti…

Quindi per un cinema “di qualità” tu fruitore non devi solo pagare il biglietto, visto che il favore alla fine te lo fanno loro, perché tu povero scemo che non si impegna abbastanza per essere sufficientemtente culturale – cosa peraltro evidente dal tuo essere legato ad un mondo tecnologico che il vero intellettuale rifiuta, al più si usa il telefono possibilmente a manovella – tu devi chiamare, incrociare i dati o, meglio ancora, fare un sopralluogo prima e sennò peggio per te se poi non vedi il film e quindi non compri il biglietto

Reperto 2. Cinema multisala.

Pasquetta. Lorenzo e io abbiamo idea di andare a vedere il film di Spielberg, “Ready player one”, girato in 3D e quindi io – che pur ho fatto un film in 3D quindi so quanto sia insultante il proporlo in altro formato – vorrei vederlo in 3D. Ma ovviamente in 3D anche in originale è pura utopia in Italia, così decidiamo per il 3D e subire il doppiaggio.

Lorenzo constata in quello sconosciuto motore di ricerca di cui sopra che lo danno all’UCI Cinema Roma Est, dove non siamo mai stati ma pare avere una bella sala grande con buon 3D e buon suono.

Partiamo.

Mettiamo l’indirizzo dichiarato dal cinema stesso in rete, sul navigatore.

Secondo l’indirizzo in rete il multisala sta all’interno di un Centro Commerciale, a loro dire situato in Via Collatina 858.

Il navigatore ci porta a Via Collatina 858. C’è un anonimo palazzo.

Riproviamo a cercare in rete un indirizzo alternativo, nisba, sempre lo stesso indirizzo.

Allora vaghiamo a intuito, ci diciamo che in una città in cui l’Auditorium è segnalato da Rovaniemi, ci sarà un cartello.

Ne troviamo uno: “Centro Commerciale Roma Est” con una freccia.

Tale freccia ci immette in una strada di campagna.

Cammina cammina ci ritroviamo nel nulla.

Una volta incontrate le pecore ci diciamo che forse non è la direzione giusta, anche perché non stiamo andando verso “Est”. Provo a seguire il consiglio della colta creatura intellettuale della sala di qualità e chiamo un numero di telefono.

Ça va sans dire risponde un bup bup bup da “ma che te credi che era davvero un numero di telefono?”.

Andiamo verso est.

Ancora pecore.

Mi sono chiesta se per caso questo Centro Commerciale di “Roma Est” non sia un luogo noto ai depositari di una tradizione orale, una leggenda tramandata solo in certi clan, un sacro Graal riservato a pochi. Cosa questa confermata da alcuni messaggi sui social, quando ho fatto una battuta sulla nostra ricerca:

Ma è lì. È a Roma Est.

Lo trovi sulle Sacre Scritture: Roma Est, centro commerciale, che non lo sai?

Per cui, per non rovinarci la giornata, ci diciamo che un’altra cosa che vorremmo tanto fare da tempo è vedere la mostra “Gravity”, sulla teoria della relavità, al Maxxi.

Bellissima mostra, peraltro.

Questi pazzi del Maxxi hanno un indirizzo sull’oscuro Google che corrisponde a dove realmente sono, per inciso, noi sapevamo dove fosse perché ci siamo già stati ma per curiosità ho controllato. C’è l’indirizzo esatto e, cosa veramente oltraggiosa, gli orari dichiarati coincidono. Qui vi verranno i brividi: dice “Oggi, pasquetta, siamo aperti dalle- alle”.

Pazzi psicopatici, davvero.

E lì, quando ad un certo punto finita la mostra facciamo merenda nel bar accogliente e bello del Maxxi, mi ricordo di una mia chiacchierata con una estetista, in una delle mie indagini sul mio settore che faccio per cercare di dare una risposta alla domanda: perché la gente, la gente che non fa questo lavoro, il fruitore base, non va più al cinema?

Lei mi ha detto:

-La maggior parte delle sale mi mette tristezza. La maggior parte sono cupe, sporche, con brutte poltrone e sempre gente sgarbata in biglietteria. –

-Quindi ti piacciono i multisala? –

-No, per carità, sembra di stare in dei garage rumorosi con puzza di pop corn, e anche lì gente sempre sgarbata. Anche se certo le sale interne sono meglio… ma no, no, io e il mio ragazzo preferiamo vedere i film su Sky, su Netflix, a casa, si sente bene, si vede bene … che esco a fare e spendo soldi per andare in un posto cercando parcheggio, per trovare un posto triste e con gente sgarbata?-

-Quindi per andare a vedere un film non a casa cosa ti aspetteresti, cosa ti farebbe uscire di casa? –

– Beh, uno esce di casa per andare in un posto bello, magico, fuori dai problemi di tutti i giorni, con persone che ti accolgono allegre, insomma che ti senti che sei uscito da casa per essere coccolato e poi vedere un film, come un rito, insomma. Tipo un teatro, capito, un posto in cui non è come a casa, un posto bello, magico, oppure elegante… –

Eterotopie, le chiamava Michel Foucalt.

Alcuni esercenti che ci credono e combattono per accogliere e coccolare la gente in un non luogo dove vivere pensieri profondi o anche evadere, in giro per l’Italia ci sono, ma spesso non sono liberi e sono lasciati soli

Purtroppo la maggioranza di chi gestisce i cinema, a tutti i livelli, non sa più crearle, le magiche o accoglienti eterotopie per le quali mi va di uscire e partecipare ad un rito. Non c’è amore, o sono snob che pensano di farti un favore, o sono posti trascurati da chi le gestisce e da chi ci lavora.

E se non gli va a loro, perché dovrebbe andare a noi.

  • night-television-tv-theme-machines.jpg

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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