La sindrome di Wolf risolvo problemi

Parlavo con una persona che mi conosce da tantissimo tempo, a proposito di un ennesimo evento della mia esistenza a cui ben si applica un detto amato da mia nonna siciliana “a fai bene in ta vita” (si traduce in “vai a fare bene nella vita” ergo, non te ne viene niente).

Così, per mio diletto, mi sono messa a fare l’elenco delle cose che ho fatto, persone che ho sostenuto e aiutato, sempre e volutamente per niente in cambio.

Un elenco che pur con la mia lacunosa memoria è spaventosamente lungo, e consideriamo che io non mi reputo una persona buona, aggettivo che mi ha sempre dato l’idea di melassa e odor di natfalina, anche perché sono stata cresciuta con l’idea di far di tutto per essere una persona giusta e le persone giuste a volte fanno scelte impopolari e incomprese sul momento, spesso appaiono aver preso le difese di chi ha torto, questo perché torto e ragione non appartengono che raramente al momento contingente, torto e ragione sono valori che hanno radici lontane nel passato ma sopratutto si dovrebbero valutare sull’effetto di una intera vita. La persona giusta deve saper ragionare in modo ampio e lungimirante e non sull’onda dei sentimenti del momento.

E allora perché ho sempre fatto tanto bene nella vita, senza che ci fosse un tornaconto per me e sopratutto, nella maggioranza dei casi, senza che me ne fregasse più di tanto dell’interessato?

Se mi si dice di avere un problema da risolvere e io, tutto sommato, posso, allora lo faccio.

La chiamo la sindrome del Wolf risolvo problemi ma senza esserne compensato e ancora più grave non volerne essere compensato. Non è nemmeno un fatto religioso, perché non lo sei, religioso, né se vista nel senso di paradisi post mortem, né del karma, né perché vuoi la medaglia d’oro. Non ci sono sentimenti, in questo non riuscire a sottrarsi all’imperativo del “beh sì questa cosa la so fare, posso aiutarti/ beh ne ha bisogno e anche se salto tre cose che avrei voluto o dovuto fare per i cavolacci miei, vabbè dai, la faccio”

Mi toglie tempo, potrei fare altro pur fosse starmene in panciolle e invece ho distribuito veramente tanto tempo della mia esistenza per risolvere problemi ad altri, altri di cui – attenzione – in grossa percentuale mi fregava poco in sé e per sé, e a fare la somma forse è stato tempo sprecato.

Perché dico tempo sprecato. Non tanto per la ragione molto frequente della rivolta dell’aiutato, che spesso per tutelar le colonne del proprio ego (gli egoici non sopportano l’idea di dover dire “grazie”) se ne esce con dei “tu non hai fatto niente per me” o peggio “nessuno fa mai niente per me, io sono solo/a!” mentre tu stai trasportando il suo pianoforte sulle spalle, ma accade anche che l’aiutato pensi che a quel punto tu gli spetti, sei suo/a, se poco poco un giorno hai una colica renale e non puoi andare a prendere sua nonna all’aeroporto perché l’aiutato ha Pilates, viene fuori che sei un essere egoista e orrido.

Per tacere di quanti non si spiegano come mai tu ti comporti così, perché li aiuti e sempre il loro ego chiacchierino, gli fa dire che tu, in realtà, hai aiutato non per fare del bene ma perché hai letto nelle carte che egli/ella vincerà al superenalotto nel 2020 e punti ai suoi soldi, oppure hai perso una scommessa con i tuoi amici di freccette, oppure stai puntando a rubargli il gatto. Insomma, di sicuro non stai facendo quella cosa per lui/lei semplicemente perché “puoi” e hai un carattere per cui davvero non ti costa niente dare una mano, e lo fai. Ma c’è pure rischio che quello ti si rivolta contro, tenta di farti del male, mente o ti accusa.

Perché spesso dalla parte delle persone giuste stanno le persone profittatrici, e le persone profittatrici sono serpi, non andrebbero aiutate, forse nemmeno frequentate.

Solo che noi giusti non resistiamo.

Ma, molto più delle ragioni suddette succede che, le persone profittatrici, sprecano anche il risultato dell’aiuto che gli hai dato: quasi sempre tornano al punto di partenza, se quel che hai fatto in teoria poteva migliorare la loro vita, lasciano marcire il pianoforte che li hai aiutati a portare a casa perché in teoria serviva per prendere lezioni e inseguire un presunto sogno che mamma e papà non avevano consentito di inseguire e, in buona sostanza molto spesso non hanno capito niente.

Allora ogni volta che mi capita di riflettere su quanto tempo ho perso, dico proprio perso, perché fare del bene a chi poi non fa girare il “patrimonio del bene” è tempo perso, mi viene un atroce dubbio che mi preoccupa tantissimo: mica sarò buona?

Forse Wolf era buono e non lo sapeva.

wolf

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

2 pensieri riguardo “La sindrome di Wolf risolvo problemi

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