Un paio di giorni fa accendendo la televisione (si accende in automatico su Sky Tg24) vedo questa notizia: la salsiccia fa venire il cancro.
Dico, come la salsiccia fa venire il cancro? Così, direttamente? Come le radiazioni, come le emissioni di Radio Maria, come l’uranio impoverito?
La salsiccia?
Premetto che la cosa mi riguarda poco perché a parte essere celiaca annovero tra le rotture di scatole della mia vita alimentare l’essere allergica alla carne di maiale da sempre, dunque io la salsiccia non la mangio.
Poi chiariscono: “Ah bella, non sentirti protetta vista la tua allergia alla salsiccia, anche la carne rossa fa venire il cancro”. Io ripenso alla mia bisnonna che ha superato i 100 anni mangiando quasi solo carne di capra e se verdura mangiava si trattava di poca verdura e pure fritta ma mi dico eh vabbè, se lo dice Veronesi (il medico, non il regista) sarà così, farà venire il cancro.
Riguardo questo genere di allarmismi di solito rimango piuttosto fredda, odio gli allarmisti e i complottisti in genere, più per una questione di tono e postura che per i contenuti, quindi è difficile che io cominci a urlare aprendo il frigo, non prendo ogni confezione di shampoo e detergenti in casa e leggo nevroticamente gli ingredienti urlando “Ci sta il Sodium Laureth Sulfate!!!! Morirò!!” (ricordate, abbiamo avuto anche la fase Sodium Laureth Sulfate e quei poveri scienziati che hanno dovuto lasciare le loro ricerche per curarlo, il cancro, per spiegarci che no, non fa crescere due teste il Sodium Laureth Sulfate, è quello che fa fare la schiuma ai detergenti e se vuoi te lo puoi anche mangiare, non fa male).
Uno dei principi con cui sono cresciuta è saper individuare il principio di realtà nelle cose e siccome mi guardo intorno, mi rendo conto che tra quel che respiriamo, quel con cui pompano le mele fino a farle diventare grandi come angurie, quel che sversano nella terra su cui la gente fa l’orticello biologico, quel che buttano nel mare etc, c’è poco da affannarsi pateticamente a cercare di salvare le nostre pellacce dando fuoco a una bottiglia di shampoo.
Ci si può informare, decidere di fidarsi, e soprattutto vivere quel che ci è dato da vivere con la massima serenità possibile. E anche gratitudine. Gratitudine perché viviamo in una parte del mondo in cui possiamo permetterci di comprare un wurstel di guano a dieci euro al grammo invece di quella di suino e calcestruzzo cancerogeno a un centesimo al chilo, parte del mondo in cui abbiamo battaglie per cui tra qui e trovarci malati per le emissioni di una fabbrica, abbiamo un’esistenza al caldo d’inverno, in vacanza d’estate, fatto di tweet per commentare un talent, shopping nei giorni degli sconti, regali di Natale, palestra per essere sodi, psicologo a cui raccontare che mamma ci ha detto brutto quando avevamo otto anni, parrucchieri da odiare perché ci ha tagliato troppo corti i capelli, integratori per invecchiare più lentamente, cinema il sabato secondo i dettami di critici che quel film non l’hanno nemmeno visto, romanzi che si finge di aver letto, figli da mandare in piscina e a fare inglese, scuole di cui lamentarci, nonni da lasciare all’ospizio.
Quel che io personalmente mi dico è, grazie quel che chiameremo per comodità Dio, divino o sua divinità, per avermi fatto nascere in questa parte del mondo, e poi ti prometto che cercherò di fare fruttare doni e talenti con cui mi hai mandato su questa Terra.
Quel che più mi preoccupa, amando e anche molto la mia specie, anche quando considero quanto stupida sia una gran quantità di gente, è come sta chi non ha la fortuna di appartenere a questa parte di pianeta, e non parlo solo geograficamente, perchè anche a cinquanta chilometri da qui c’è chi non mette insieme il pranzo con la cena, ammettendo che io stessa ho passato periodi in cui riuscivo a fare a malapena un pasto al giorno, che non vengo da un contesto super privilegiato ma che ho imparato a sostenere anche quel genere di situazione con dignità e paradossale allegria. Quel che mi preoccupa è come trattiamo questo pianeta, cosa sversiamo sulla sua superficie, come ne trattiamo l’aria e come ne trattiamo gli abitanti. E’ ovvio che mi preoccupa. Mi ci indigno, cerco di capire di chi sia la colpa, ma non divento violenta, non penso che pur quando avessi ragione questa mi metta in una situazione di superiorità, non mi dà un bonus morale, l’aver fatto o meno una scelta che penso essere giusta.
Quel che faccio o non faccio per quel che mi preoccupa sono fatti miei, trovo molto giusta l’espressione per cui la mano destra non deve sapere cosa faccia la sinistra, perché più ancora degli allarmisti e complottisti mi danno sui nervi i vantisti, quelli che non fanno che urlare “ho dato da mangiare all’amico povero!” stampano foto di bambini adottati a distanza per spiattellarli sul frigo o parlarne su facebook. Ma di sicuro una faccenda che mi mette di tanto in tanto in polemica con qualcuno, io che odio la polemica, è questa storia dei vegani/vegetariani/antispecisti o come si vogliano fare chiamare.
Ne ho già parlato ma la faccenda della salsiccia mi ha confermato una teoria che potrebbe apparire esagerata e ovviamente esistono dei distinguo, un po’ come riguardo certi grillini della prima ora che minacciavano di morte e peste bubbonica chiunque non la pensasse come la loro.
Io credo che ci sia gente che ha dei problemi, anche piuttosto seri, con se stessa e con il resto del mondo, che ha una frustrazione profonda che poi canalizza in un pretesto qualunque per tirare fuori una violenza abbastanza inquietante.
Con il pretesto politico del dovete morire tutti, noi ci prenderemo il mondo, il pretesto religioso del dovete morire tutti, noi ci prenderemo il mondo, questa faccenda del fare non fare qualcosa agli animali, mangiare o non mangiare gli animali, nasconde molti altri individui la cui natura è totalmente identica a chi si mette davanti ad una telecamera e taglia la testa a chi non abbraccia la loro “lotta”, non “appartiene” alla loro ideologia.
Ovviamente come ho premesso non parlo di chi abbraccia un’ideologia del genere in buona fede, chi davvero si batte perché non massacrino i cuccioli di foca vivi, generalmente non passa la vita a insultare chi mangia fish and chips, generalmente chi davvero abbraccia un’ideologia ha rispetto di tutti e pur non condividendo l’idea dell’altro si farebbe uccidere purché questi sia libero di esprimerla.
Per certa gente invece sono pretesti per fare delle crociate che giustifichino la voglia di vedere tutti morti, quelli che ti hanno fatto sentire solo da bambino, quello o quella che ti ha rifiutato o tradito per quello o quella più carino, per giustificare la frustrazione di un lavoro in cui hanno premiato qualcuno che ti sembrava meno meritevole, uno specchio che non ti ha mai fatto sentire abbastanza bello o abbastanza bella, la frustrazione del vicino di casa o del cugino che aveva la casa o la macchina più bella, tu che non hai avuto il motorino, tua madre che amava di più tuo fratello.
E allora da sempre accade che ci si accodi a una realtà politica possibilmente violenta e picchiatrice, una religione che possibilmente ti dica che tu sei superiore e migliore solo perché hai scelto quel dio invece di un altro, ci si attacca ad un’ideologia di razza per cui ti dici che forse avrai pur fallito la tua vita ma sei superiore perché bianco, giallo o verde. E oggi ci si è messa questa storia del cosiddetto “amore per gli animali”. Cioè, esaurita ogni possibile appartenenza nel mondo umano, come ha detto una persona che in una riunione spiegava i dettami dell’ “antispecismo”, loro si mettono dalla parte del vitello e dello Gnu.
Giuro, ho sentito questa persona che diceva “noi faremo con gli animali quel che è stata la rivolta degli afroamericani e il potere nero, quel che ha fatto il femminismo”.
Il punto è che loro si riferiscono alla “natura” e al bisogno che si ritorni ad un’armonia naturale che solo noi specie umana stiamo violando con la nostra crudeltà (utile o inutile non conta, è crudeltà tout court)
A nulla vale ogni tua domanda in merito all’ecosistema, al rapporto che sussiste tra antilope e giaguaro o a cosa sarebbe accaduto in quella stanza facendo entrare una tigre affamata. Il punto è che in buona sostanza a volerla dire spiccia una vita animale vale anche più di una vita umana, come ricordavano con toni concilianti, per niente fondamentalisti, per nulla violenti, alcune persone che hanno fatto conoscere la loro opinione alla ragazza malata che diceva di capire la necessità di alcuni tipi di sperimentazione animale (se non mi sbaglio la frase esatta era “ma meglio che crepi tu invece del topino”).
Faccio outing: a me piacciono molto gli animali, i miei cani sono creature che ho amato tanto quanto amo alcune persone della mia vita. Certo, li ho sempre trattati da cani, non ho messo loro il bavaglino per mangiare, mai messi a sedere a tavola con la famiglia, mai pensato di attribuire sentimenti umani, mai considerati sostituti di un bambino neonato.
Quando è morto il mio ultimo cane una persona che conosco, persona vegetariana e animalista con cui ogni tanto ho avuto delle conversazioni anche surreali e che mi accusava di essere severa con il mio cane perché la tenevo lontana dalla tavola mentre la gente mangia perchè disturbava, o perché non volevo che dormisse sul letto, vedendo come ho accudito la nostra amata cagnetta negli ultimi faticosi tempi e come ho reagito alla sua morte, ha detto “non avrei mai immaginato, certo che Anne è stata incredibile con quel cane, ammirevole”.
Il problema non era come io mi rapportassi con il mio cane ma il pregiudizio con cui questa persona interpreta il concetto di “amore per gli animali”.
C’è un equilibrio che dovrebbe sussistere nel nostro vivere questo pianeta e questo equilibrio non è la pasticciata e melensa idea di “amore per gli animali” che fa una grande confusione anche lessicale. Uno non è che “ami” gli animali, uno gli animali li “rispetta”, come si devono rispettare tutte le forme viventi sulla Terra. Rispetto significa considerarne la natura e considerarne le esigenze. Poi uno può “amare” un certo animale con cui ha un rapporto.
Vero è che se cresci in un mondo in cui il concetto di amore è sputtanato e reso una roba retorica da cioccolatino, sì certo, uno “ama” tutto, pure la pianta grassa.
Non capisco perché gente che è pronta a raccontarsi la stronzata per cui un cane o un gatto domestici stiano meglio se tagli loro le palle e togli loro la possibilità di una vita sessuale (perché averli in calore è scomodo, e le presunte ragioni di salute sono stronzate colossali su cui molti veterinari non attratti dal business della sterilizzazione si battono da anni) poi si rotolino nell’orrore dell’idea che siano millenni che abbiamo le galline nell’aia, e ad un certo punto nonna tira loro il collo e ce li si trovi con le patate nel piatto della cena.
Sono scelte, ovvio. C’è a chi fa impressione l’idea di mangiare un essere vivente con la faccia e che ti abbia guardato (perché, ricordo, anche alla zucchina farebbe più piacere morire di morte naturale che essere buttata nell’acqua bollente o infilzata pur cruda dai denti e poi assalita dai succhi gastrici, sono creature viventi anche quelle), io da una parte sono cresciuta con l’idea che se non finivo la bistecca un bambino in Africa piangeva, dall’altra ho pianto quando ho scoperto, a nove anni, che l’agnello che stavamo mangiando in tavola era un cucciolo che avevo conosciuto, è ovvio che nessuna persona equilibrata e di buon senso sia totalmente indifferente all’idea che la bistecca si chiamava Carolina e aveva la faccia. Ma non si capisce per quale ragione quello a cui questa cosa fa impressione debba rompere costantemente le palle a quanti questa cosa non faccia impressione o magari abbia un rapporto talmente naturale con il pianeta in cui vive e con il proprio posto nell’ecosistema, da provare gratitudine per il piatto che ha davanti e di poter mangiare.
Il punto però è che credo che dietro un atteggiamento crescente e degenerativo che vediamo in alcune persone violentissime che si trovano tra i presunti “animalisti” o “vegani” prenda il destino delle bestie a totale pretesto, un pretesto che se fossero cresciuti in un’altra parte del mondo sarebbe stato magari religioso o politico, per dare una sorta di accettazione sociale al proprio odio verso quegli altri che hanno causato dolore nelle loro vite.
Ogni tanto mi ritrovo a esprimere questa mia idea, cioè che dietro ogni forma di fondamentalismo ci sia l’infantile desiderio di vedere tutti morti e “conquistare il mondo”. A volte qualcuno mi risponde: “Ma no, Anne, ti pare che possa esserci un desiderio del genere in qualcuno che semplicemente pensa non sia giusto mangiare la carne?”
Poi oggi su facebook vedo questo:
Forse sarà vero che la salsiccia fa venire il cancro ma forse allora è anche vero l’adagio di mio nonno (medico, che mangiava molta carne ed è morto a più di novanta anni) : “Il livore porta tumore”.