NON E’ UN PAESE PER ADULTI (piccola illuminazione dopo il caos di Fiumicino)

In questi giorni, nonostante il caldo da effetto serra e scenari post apocalittici da B-movie rallentino i pensieri, ho avuto una piccola illuminazione.

La settimana scorsa mi sono ritrovata in certa parte vittima dello scandalo Fiumicino-Vueling-Ritardi-Gentechemuoreinaeroporto. Sono stata due giorni a Berlino per lavoro ma sulla strada del ritorno ci si è messo l’incendio a Fiumicino, nel senso che il nostro volo ahimè Vueling (recidiva ma non per colpa mia, era un viaggio di lavoro) a pochi minuti dall’imbarco risulta cancellato. In poco tempo scopriamo che è stato cancellato perché non è mai partito l’aereo da Roma.

Lorenzo, da Roma, mi spiega quel che è successo e che l’aeroporto Leonardo da Vinci sembra una scena di Wolrd War Z, attimi di panico durante un’apocalisse zombie.

Intanto a Berlino Tegel, contestualmente alla notizia della cancellazione del nostro volo, ai banchi del check in si presentano immediatamente due ragazzi, rappresentanti tedeschi per Vueling, e un signore che rappresenta l’aeroporto.

Quel che noto è che sia i due che rappresentano l’azienda incriminata che il signore che rappresenta l’aeroporto sono non solo gentilissimi e molto zelanti (al punto che ci danno subito delle bottigliette d’acqua, considerando che c’erano 16 gradi e che a quel punto eravamo in aeroporto da non più di quaranta minuti magari era un po’ eccessivo) ma osservo una particolarità nel modo di esprimersi di tutti e tre.

Parlano e promettono e assicurano in prima persona.

La più giovane, che ascolta ogni storia che tutti noi raccontiamo per spiegare quanto sia urgente la nostra fretta e che la nostra fretta è più fretta di chiunque, si esprime più o meno così:

“Vi assicuro che … adesso mi informo immediatamente e farò in modo di…”

E così anche il rappresentante dell’aeroporto.

La Vueling fa sapere che abbiamo due possibilità: se troviamo un volo di altra compagnia che parta in giornata ci rimborseranno il biglietto (voglio proprio vedere, ormai la mia considerazione per questa compagnia mi fa rivalutare la Banda Bassotti) oppure ci avrebbero ospitato in Hotel per la notte.

Poiché noi dovevamo tornare a Roma entro la sera per un appuntamento di lavoro il giorno successivo, scegliamo la prima opzione.

Al banco Air Berlin, che aveva un volo in partenza due ore dopo, quando dico che avevo avuto informazione che forse sarebbe stato cancellato anche quel volo per via dei problemi che c’erano su Fiumicino, la ragazza del banco ha detto: “Aspettate, verifico subito, non vorrei mettervi nei guai e vi ritrovate con due voli cancellati”. Ha telefonato, aspettato al telefono tenendoci intanto fermi i posti e poi ha detto:

“Vi assicuro che parte, se ci dovesse essere un qualunque problema tornate da me, vi faccio subito il rimborso. Ma mi prendo la responsabilità di assicurarvi che parte.”

Sono arrivata a casa e ho visto le immagini al TG dell’infernale giornata vissuta da tanti passeggeri a Fiumicino e ho avuto l’illuminazione. Ho rivisto una serie di immagini come in un film.

La mattina in cui siamo partiti, siccome eravamo arrivati presto a Fiumicino e non era ancora chiaro quale fosse il nostro gate, mi ero avvicinata al banco del check in e chiesto se conoscessero già la nostra porta. C’erano due ragazze che non stavano facendo assolutamente niente e che, nel vedermi, si sono subito indurite, la nota posizione da “oddio, mo’ questa ci chiede qualcosa”.

Una infatti ha risposto senza nemmeno dare un’occhiata al computer: “Non lo sappiamo. Deve guardare il cartellone, quando esce lì”.

Ho evitato di rispondere “brava, questo lo sapevo da sola” perché sono abituata.

Sono abituata al fatto che in Italia, a differenza di quel che succede altrove, qualunque altro Paese io abbia visitato, fosse pure un posto dove la gente è antipatica e fredda, persino a Parigi, per intenderci, sono abituata al fatto che in Italia nessuno si assuma mai una responsabilità.

Si dice che il passaggio all’età adulta sia dato dal fatto che ad un certo punto tu, individuo, impari ad assumerti le tue responsabilità. Non ne hai paura, non hai più paura di scegliere e decidere – cosa che prima facevano i tuoi genitori per te – non hai paura, se rappresenti un’azienda, di prendere le veci della tua azienda e prenderti una responsabilità personale per loro conto, perché sei tu, individuo che hai di fronte un altro individuo che ha bisogno di qualcosa, quel qualcosa che magari tu non sei pagato per dargli ma per cui lui ha pagato l’azienda che rappresenti, sei tu che sai prendere il timone di qualunque situazione e non hai paura delle conseguenze.

L’individuo rimane infante fino a che non comincia ad ammettere che alcune cose possono essere colpa sua e basta, e non “colpa sua perché ha dato retta a questo o colpa sua perché mamma non mi ha fatto fare quello, colpa del mio capo, della mia azienda, di chi comanda (perché nel caso singolo ci si regola sul caso singolo e su quello che sta succedendo qui e adesso, non ci si nasconde dietro i massimi sistemi)” finché insomma non comincia ad ammettere che se è colpa sua è colpa sua perché ha fatto scelte personali sbagliate, perché non ha avuto abbastanza coraggio o perché, dovendo prendere una decisione ha preso quella sbagliata. E in questo caso è capace di prendersene tutte le conseguenze.

Noi, qua, non ci assumiamo mai nessuna responsabilità.

È sempre un devo chiedere ai miei superiori, il capo non c’è, non è una mia scelta, sono loro che hanno deciso così, sono loro che non ci danno i mezzi, sono loro che non ci-mettono-nella -condizione-di.

Ma prenditi un cavolo di responsabilità, agisci, trova una soluzione intanto per fare in modo che non ci sia gente che rimane a piedi, che debba patire le conseguenze di errori altrui, sii almeno tu il soldato di guardia che si mette in gioco per dare delle risposte, per dare del conforto.

No.

Come alla fine racconta spesso questo blog, tu combatti ogni giorno con impiegati che non rispondono, che dicono io non c’entro, o anche “e che cazzo ne so io” come mi ha risposto una volta un autista Atac a cui ho chiesto come mai quel giorno la linea a orario che stavo aspettando con mia nipote piccola per mano, avesse saltato due corse.

Siccome è vero che esiste un inconscio collettivo, una psicologia di massa, credo che questo sia il nostro problema principale: una maggioranza di bambini con i capelli grigi, gente che quando è protagonista del problema urla e scalpita e accusa mamma e papà di avergli rovinato la vita pure quando c’hanno sessant’anni, e quando si trova dalla parte di quello cui vengono fatte le domande risponde solo “Non lo so/non mi compete”.

Finché sarà così non dovremmo stupirci del caos in cui precipitiamo continuamente. È quello che succede in ogni asilo d’infanzia quando non c’è nemmeno un adulto a supervisionare.

 

the_terminal

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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