IL CINEMA ITALIANO E’MORTO (meno male che sono più o meno finlandese)

Da biculturale amo entrambe le mie patrie ma allo stesso tempo ho un punto di vista privilegiato e magari più oggettivo dei purosangue su entrambe.

Ogni tanto però nascono spontanei i paragoni, quel che tira fuori il bene e il male di ognuna.

Ultimamente verso la mia natìa Finlandia sono stata molto critica, ho comunque un punto di vista di prima mano dato che lì ci vivono mia madre, mia sorella e le sue figlie. Mia madre e mia sorella ci sono tornate ormai vent’anni fa con lo spirito di chi torna all’Eden e quindi alcuni aspetti che si sono modificati di quella terra ci hanno lasciato a volte stupiti, a volte mi hanno creato imbarazzo e delusione.

Rispetto alla Finlandia, vi stupirà (parlo agli italiani, ovviamente) l’Italia è parecchio più tollerante e ha in percentuale una maggiore tendenza all’accoglienza. In Finlandia alle ultime elezioni, per dire, hanno beccato maree di seggi i Perussuomalaiset, che si vendono come “i veri finlandesi”, e dicono robe sugli stranieri che fanno accapponare la pelle e fanno apparire Salvini e le sue felpe un tenero ragazzone in vena di scherzetti. Tendono a essere “spassu i fora e triulu i casa” come si dice in Sicilia: danno costantemente un’immagine di sé all’estero che non corrisponde affatto a cosa effettivamente accada “dentro”, negano a se stessi le difficoltà, dipingono la loro realtà scolastica – per dire – totalmente diversa da quel che è, hanno problemi seri di bullismo nelle scuole che negano (la sindrome di “Gobba? Quale gobba?” , insomma).

Però se c’è una cosa che adoro della Finlandia è l’orgoglio e l’amore per la propria terra e la propria identità (quando questo non diventa esaltazione e senso di superiorità, ovviamente).

In Italia invece si tende ad un atteggiamento schizofrenico verso tutto ciò che riguarda l’eccellenza nazionale, si resta sempre un po’ quei barbini che un giorno applaudivano sotto la finestra a piazza Venezia e quello appresso tutti a festeggiare a piazzale Loreto.

Non si riesce a non essere quelli del “abbiamo vinto, hanno perso”, cosa che mi è saltata agli occhi in questi ultimi tre giorni.

Piccolo esempio che mi ha fatto riflettere. Stupidaggini, per carità, ma qualche domanda dovremmo farcela un po’ al di là della chiacchiera da Bar, in merito, perché forse questa tendenza è alla base della maggior parte dei nostri problemi.

L’Italia aveva tre film a Cannes, quest’anno. Da quando la notizia è stata nota i social, giornali, telegiornali, anticamere di dentisti, sale parrucchieri, sono state invase da orgoglio nazionale, chiacchiere su chi siano questi tre registi, entusiastici discorsi sulla rinascita del Cinema Italiano, sbrodolamenti sulla bellezza del singolo fotogramma trapelato, stampi in gesso per sculture dedicate a Moretti, Garrone e Sorrentino, gente che preparava le maschere per il prossimo Halloween per vestirsi da Garrone, gente che ritirava fuori la maschera già comprata ai tempi dell’Oscar da Sorrentino, quelli che tiravano fuori dalla naftalina il vestito da Moretti fatto in occasione della Palma d’Oro per “La stanza del figlio”.

Insomma, eravamo tutti Moretti, Sorrentino e Garrone.

Ma ieri il cielo di Cannes si è riempito di cupi presagi, le voci correvano senza controllo tra i corridoi delle redazioni, degli ospedali, negli status di facebook di addetti al mestiere, di ragionieri, di metronotte: “non hanno richiamato nessuno dei tre, non hanno richiamato gli italiani”.

E alle cinque del pomeriggio è stato chiaro: nessuno dei tre film italiani aveva preso un premio. Era certo, era sicuro.

Gli italiani che hanno potuto seguire la premiazione in diretta erano come in trance, delusi, increduli, ma già pronti alla

FASE DUE DEL PATRIOTTISMO ITALIANO.

Verso le diciotto di ieri pomeriggio serpeggiavano i primi:

“Eh. Però in fondo, ‘sti film…”

“Beh, ma dai, si sapeva…”

“Ma dove credEVANO di andare…”

Stamattina, infine, era ufficiale:

IL CINEMA ITALIANO E’ MORTO.

In Italia quando si pensa che un italiano stia per fare qualcosa di eccezionale, mondialmente riconosciuto, ci si divide tra i rosiconi puri che se non altro sono coerenti, e che in casi come questo si lanciano in strada con le maracas e i “l’avevo detto, io”, e quelli invece che indossano la maglia azzurra fino ai quarti di finale e che, se perdiamo e non andiamo avanti, scuotono la testa: “non saNNO giocare, SONO una squadra scadente, impaliamo l’allenatore, ORA”.

Sabato sera c’è stata la finale dell’Eurovision Song Contest. Ho visto solo la finale, perché in Italia hanno trasmesso solo quella, ma sabato pomeriggio su skype mia sorella mi ha avvisato che la canzone finlandese – cantata da un gruppo peraltro molto coraggioso, perché si tratta di un quartetto composto da portatori di handicap – non era passata e ci siamo detti, che “come sempre” i finlandesi erano rimasti malissimo, avevano commentato in Tv, sui giornali, in radio e nei corridoi dei supermercati, che era stata un’ingiustizia, che alcune canzoni passate erano molto più brutte della “nostra”.

Cioè: i finlandesi non rinnegano il loro connazionale in cerca di successo nel momento del dolore, anzi, lo sostengono magari anche perdendo oggettività, ma il finlandese è fiero del conterraneo che ha successo e vi si identifica anche quando le cose vanno male al punto da reagire come quelle mamme troppo premurose per cui il loro figlio meritava comunque di più.

In Italia no, in Italia se ti va male mica ti aspettano a Ciampino per darti le pacche sulla spalla e ringraziarti per averci provato. In Italia a Ciampino si aspetta la squadra vincente per festeggiare, il senso di appartenenza non è “nella gioia e nel dolore” ma solo se c’è da stappare bottiglie sul carro del vincitore, salvo essere di quelli che mettono il chewing gum sulla sedia di chi vince per rovinargli i pantaloni, che invece stappano la bottiglia se colui “che ci ha provato” lo vedono cascare rovinosamente.

Dunque oggi mi sono svegliata in un Paese in cui il Cinema Italiano è morto, dove c’abbiamo ‘sti tre poracci di registi che chissà che si credevano di fare, tutti e tre privi o improvvisamente privati di talento, e siamo tutti lì a dire che ovviamente è giusto che a vincere i Premi siano registi dai nomi che sono codici fiscali, tutti pronti a sfoggiare la coccarda del “io vedo solo film uzbeki e/o comunque dei paesi del Terzo Mondo perché lì sì che soffrono e solo quelli che soffrono fanno capolavori” e via così, fino al prossimo mondiale.

C’è da dire che la canzone finlandese per l’Eurovision era molto carina, l’ho trovata su Youtube e mi ha emozionato, sono coraggiosi, bravi, e mi emoziona sempre vedere dei finlandesi o degli italiani alle prese con delle sfide internazionali, ma anche lì non ha vinto nemmeno l’Italia con i suoi tre ragazzi con il vocione e quindi questo week end per me è stato molto triste. Ho perso tre belle occasioni per festeggiare.

Perché a me piace quando vinciamo e li amo lo stesso anche quando perdiamo. Perché quando ci mettiamo, noi finlandesi e noi italiani, siamo bravi, basterebbe solo che noi finlandesi amassimo un po’ di più chi non lo è, e noi italiani amassimo un po’ di più noi stessi. Nella gioia e nel dolore.

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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