ma dove ho messo il telefono? (noi e i nostri smartphone)

Io e il cellulare, inteso come telefono, abbiamo una relazione complicata. Lo perdo, non lo trovo, non lo sento. Da quando esiste lo smartphone va un pochino meglio solo perché amo leggere subito le Ansa appena sveglia, i social li frequento quasi solo dallo smatphone in quei momenti di pausa tipo aspettare l’autobus (a Roma parliamo di cinque sei ore), fila alla posta (a Roma, circa dieci ore) cose tipo stare al bagno (per fortuna non ho i problemi di Alessia Marcuzzi e Shakira quindi pochi minuti).

Ma il telefono lo odio perché di fatto io ODIO parlare al telefono.

Chi mi conosce lo sa e sa che con me è inutile chiamarmi per fare una chiacchierata se non ogni sei mesi. Deve essere davvero tanto tempo che non ci sentiamo perché io sia felice di fare una chiacchierata al telefono.

Non sono stata una di quelle adolescenti che stanno sul letto a pancia sotto e piedini in aria a parlare con l’amichetta di quanto è figo tizio o caio (d’altronde, non ho avuto quell’adolescenza lì) e addirittura fino a una certa mia età non avevamo il telefono affatto, a casa, siccome i nonni abitavano nello stesso palazzo un paio di piani più su, se proprio si doveva fare ‘sta cosa di telefonare, si saliva su.

Sentivamo la mia nonna finlandese tipo una volta al mese,  si saliva tutti su dai nonni siciliani per fare la telefonata e voi sapete come si sta al telefono da bambini o da adolescenti: qualche monosillabo, respirini imbarazzati e “va bene, ciao”.

Ti mancavano come l’aria, ma santoddio, che senso ha sentire una voce?

Stare con qualcuno che ami, parlare con qualcuno di cui ti piace la compagnia, è fatto di espressioni del viso, linguaggio del corpo, condividere il sapore di un dolce che si sceglie insieme, vedere le rughette intorno al viso del sorriso…

Quindi il telefonare per me, quando questo è necessario, diventa un supplizio.

Intanto, se non pigliano su al primo squillo ho sempre l’istinto di chiudere, perchè quale che sia la ragione della telefonata, fosse pure per ordinare la pizza, al secondo squillo sono già pentita di aver chiamato.

– Pizzeria Montecarlo, dica?! –

– No, niente, scusi…

Se poi devo fare, che so, una telefonata di lavoro, devo chiamare il tal collaboratore e raccontargli la tal cosa, mi suda la colonna vertebrale, devo stare lì le ore con il cervello fritto dalla batteria, con una difficoltà di concentrazione suprema perché parlare con qualcuno che non vedi significa eliminare l’82 per cento della comunicazione e poi ci si mette pure che più ‘sti smartphone li fanno grandi più non si sente una mazza, mettici anche che quando parli tu hai sempre il vago dubbio che l’altro nel frattempo stia facendo il cubo di Rubik e ogni tanto dica mh-mh-mh e non ti stia ascoltando affatto. Insomma, una fatica titanica che ci fa sentire piccoli astronauti sperduti nel nulla che mentre si allontanano l’unica connessione che gli rimane è una voce dentro l’auricolare che si affievolisce e disperde sempre più.

Per questa ragione io non capirò mai, dico mai, quelli che passano la vita al telefono.

Stai per strada. Dentro un ristorante. Su un treno. In una casa. In un negozio.

Ti guardi intorno.

Almeno il 76 per cento delle persone parla il telefono, il resto lo guarda per scriverci o per fare scivolare il dito sugli schermi e guardare cose a una tale velocità che ti chiedi cosa stiano effettivamente vedendo. E poi ci sono io che li guardo tutti.

Quelli che parlano al telefono parlano di cose di cui potrebbero benissimo fare a meno di parlare, cioè cose che potrebbero benissimo aspettare il momento in cui ci si vede.

Lo capisci perché se dicono, a un certo punto, frasi quali “ci vediamo a casa” “che faccio compro il sale” “domani in ufficio vieni puntuale o fai come oggi” oppure “ma tu stasera da Gianni porti il vino o il dolce” capisci che si vedranno presto. Quello non sta in Australia. Non è la Cristoforetti.

Non glielo puoi dire quando lo/la vedi? Cos’è questa urgenza di comunicare ORA una certa cosa che hai visto o che hai pensato?

Chiacchierano della vita e della morte, del tempo, della tipa che odiano, litigano, raccontano cosa stanno facendo e cosa hanno appena comprato in un negozio.

Ovviamente questo li esclude da ogni rapporto umano con chi sta effettivamente accanto. Perché spesso, anzi quasi sempre, i parlatori al telefono non sono soli. No. È questo il bello. Sono in compagnia. Spesso viaggiano in due: uno parla, l’atro o altra scorre i social o chatta.

Stai su un treno. Non è che leggono, guardano il panorama (le più belle idee e le più grandi decisioni, dall’invenzione della locomotiva, sono state prese fissando il panorama che scorre fuori dal finestrino di un treno). No. Essi parlano e non è tanto il fatto che disturbano te che senti un monologo ma ti coinvolgono nell’energia negativa dei loro:

– Aspetta, ti ho perso – Non ti sento – Aspetta, galleria – Uffaaaaaa! (è caduta la linea) – Ecco, scusa, era caduta – Mi senti? Ora mi senti? –

Una pantomima che ti fa diventare idrofobo, che sparge nell’aria i bacilli dell’ovvio nervosismo che nasce da una comunicazione così difficoltosa.

Ma loro no, devono parlarne ADESSO, ora, sul treno. Non possono aspettare. Di quelle scarpe fichissime a poco prezzo comprate a Roma devono parlarne ORA, e poco importa che stiano andando nella città in cui vive l’interlocutore e si sono detti tre volte che si vedono domani, no. Devono dirglielo ORA.

I migliori sono quelli al ristorante. Sono a tavola, hanno una o uno davanti, quell’altro o mangia guardandosi intorno un po’ annoiato, un po’ a disagio, oppure si rifugia nel touch screen del proprio, di smartphone, e il parlatore patologico parla. Mangia e parla e ogni tanto fa sorrisino all’interlocutore /interlocutrice. Il peggio è che ogni tanto fa il gesto di “scusa, sai, una palla…”

Ma allora CHIUDI, no? Non sei mica costretto, non sei il negoziatore che deve tenere in linea il rapitore così la polizia individua il chiamante o si evita che faccia a pezzi altri tre ostaggi.

Dire “scusa ora sono impegnato”, SI PUO’.

Ma loro no.

Loro parlano.

Detto questo, se siamo lontani, non ci sentiamo da un anno, possiamo ovviare con una telefonata. Poi c’è anche Skype, eh? che è diventata un’ottima alternativa all’incontro reale. Ringrazio il signor Skype ogni giorno perché posso vedere mia sorella, veder crescere la nipote, anche se stanno a 2.142 km di distanza. Però, sì. Una telefonata di chiacchiera ogni tanto fa piacere.

ragazza_telefono

Se non rispondo non pensate che vi sto snobbando. Probabilmente ho lasciato il telefono a casa.

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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