Confessioni di una mente che aveva sprezzo del pericolo (se all’improvviso ti preoccupa prendere un aereo)

Stamattina all’alba ho preso un aereo per tornare a casa, sono stata all’estero un paio di giorni per lavoro e insomma proprio all’indomani della tragedia dell’aereo Germanwings stavo su un aereo.

Da quando sono nata viaggio. Avanti e indietro da e per la Finlandia, ho sempre avuto i miei affetti sparpagliati per il mondo quindi andare a trovare qualcuno significa da sempre prendere un aereo, un treno, farsi migliaia di chilometri in macchina.

Poi da ragazza ho cercato di viaggiare più possibile a prescindere, dall’indomani della maggiore età, perché come tutti sognavo di vedere l’intero pianeta e magari oltre.

Mi sono scelta un lavoro per cui ho sempre dovuto viaggiare talmente tanto che ormai ne ho persino un filino nausea, è agghiacciante quando ti rendi conto che ricordi le città per alberghi con camere pulite o non pulite e quei ristorantini deliziosi e a poco prezzo.

Da quando sono nate le mie nipoti, prima una poi l’altra, ho sempre sognato di poterle portare in giro per il mondo perché quello che ci rende ricchi interiormente, colti, tolleranti, felici, è conoscere tutto ciò che è lontano e diverso, e mi ha entusiasmato l’idea di riscoprire con le mie nipoti il piacere di vedere diversi posti e diverse culture solo per il piacere di farlo.

Mi sono sempre detta, anche quando mia madre si preoccupava moltissimo dato che le mie prime partenze da sola sono coincise con un’epoca in cui non c’erano ancora i telefoni cellulari, che non può certo essere la paura a fermare la nostra curiosità, le esigenze del nostro lavoro, la voglia di stare accanto ai nostri affetti.

Ci ho anche fatto un film, nel 2009, questo, sull’argomento: possiamo noi lasciare che la paura, il terrorismo psicologico di chi pensa di portarci a scegliere noi stessi di non essere più liberi, ci condizionino la vita?

Possiamo darla vinta e cominciare a sospettare del nostro prossimo, barricarci in casa, consigliare a chi amiamo e che sta crescendo di non andare da nessuna parte e non fare niente?

No, dicevo in quel film. Non possiamo.

Ebbene, stamattina mi sono resa conto che per la prima volta in vita mia, scusando il francesismo, mi sono cagata sotto.

Aspettavamo l’aereo alle orride sette del mattino e non avevo dormito niente. Quando devo svegliarmi presto non dormo mai bene perché pur se mi metto otto sveglie penso che non mi sveglierò e perderò l’aereo, ergo non dormo.

Ma questa volta non dormivo perché andare a nanna con gli occhi pieni di immagini di un aereo precipitato già di suo non è carino, ma ieri sera a cena la prima cosa che ci siamo detti, tutti, e sentivo i vicini che commentavano in maniera simile: “eh, ma c’è qualcosa sotto”.

Abbiamo pensato che potrebbe essersi trattato di qualcosa di legato al terrorismo. Oppure, si diceva, ‘sti aerei sono una ciofeca perché voliamo troppo, sfruttano i piloti. E varie supposizioni da osteria che si fanno sempre ma che, questa volta, un po’ sono penetrate nella mia testa.

Così stamattina mi sono scoperta con orrore a guardare il mio vicino facendomi delle domande.

Mettiamo pure che era un volo Kuwait Airways, che rimane una delle linee aeree più piacevoli per gentilezza del personale, rinfreschini e coccole durante il viaggio, eppure, con mio enorme stupore, nel mio intimo mi sono manifestata in poco edificanti e inconfessabili reazioni a quel che accade. Ti accorgi che ti si è infiltrato un assurdo pregiudizio, come avessi preso l’influenza e non ne sei consapevole finché non ti misuri la febbre, un atteggiamento pazzesco per chi sei e per tutto ciò in cui hai sempre creduto, un qualunquismo per cui sputarsi allo specchio.

“Ehi. Ma quello con quello zainetto nero? È sospetto.” nella centrale del mio cervello uno diceva così.

“Ehi, ma cosa avranno da bisbigliarsi quei due?” diceva un altro paranoico abitante della centrale del mio cervello osservando una coppia che magari stava parlando di cosa mangiare domani, ma di lei si vedevano solo gli occhi, molto belli, avvolta nel suo velo nero.

Mi sono vissuta con una certa ansietta il decollo, qualche scossone, l’atterraggio. Per non parlar del passaggio sopra le Alpi.

E ti dici “Ma che ti succede, sarà l’aereo duemiladuecento che prendi, ma tu non sei quella che piuttosto teme il traffico sulle strade perché statisticamente i dementi cui danno la patente sono più dei chicchi di un campo di grano?”

Ma l’ansietta non ti lascia. Diventi la signora in giallo che squadra ogni passeggero che si alza dal suo posto, sei pronta a fiondarti su di lui come Uma in Kill Bill se poco poco si avvicina alla cabina pilotaggio, perché la questione non è solo la vitaccia tua, ti scopri a pensare cose cosmiche tipo che non vuoi che accada nulla ai tuoi affetti, non puoi sopportare di non vederli più, che ci sono dei bambini a bordo e nessuno ha il diritto di togliere una vita, e nessun Dio che possa definirsi tale senza tema di perdere il suo patentino permetterebbe una cosa del genere MA se Egli si gira dall’altra parte, ok, ci penserò io!

Fatto sta che prima di partire ci siamo ritrovati, senza avere fatto un commento che è uno sui propri timori inconfessati, a parlare di cosa pensiamo sia il Paradiso, se pensiamo ci sia qualcosa dopo e via discorsi teologici che mi hanno confermato che sì, nessuno era a suo agio.

Insomma, ti rendi conto che dagli e dagli si rischia di cascare nella trappola della paura e del sospetto, così la vincerebbe chi vuole che la vita umana diventi una vita cui è stata tolta una porzione enorme di libertà, di curiosità e gioia di vivere e questo non è davvero accettabile.

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Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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