Ogni tanto, da che mi ricordi, mi ritrovo a che fare -direttamente o indirettamente – con delle persone oggettivamente matte. Non dico “pazze” o “folli” perché della malattia mentale ho assoluto rispetto e considerazione, dato che la malattia mentale non è una colpa, è una malattia esattamente come l’herpes simplex, qualcosa con cui nasci e verso cui non hai responsabilità.
Per matte intendo persone che a causa di un eccessivo egocentrismo, un mostruoso narcisismo dovuto spesso in gran parte alla sfortuna di avere avuto una mamma e un papà che li hanno cresciuti lasciando loro credere di essere i più belli del mondo, i più bravi a dire la poesia di Natale, coloro la cui cacca profuma, vengono su degli apparentemente psicopatici, lontani (lontanissimi) dal buon senso, cattivi, vendicativi e sempre incazzati.
Queste persone, per come la vedo io, se fossimo tutti un po’ meno buonisti e un po’ più giusti, andrebbero chiuse in una navicella spaziale con a bordo vettovaglie e comfort bastevoli per una o più vite e lanciate nello Spazio lontano lontano, così che magari raggiungono la Morte Nera e si trovano in felice accordo con Dart Fener e i suoi amici di ghenga.
Dopo un po’ di tempo che si passa su questo pianeta diventa stancante trovarsi ad avere a che fare, o vedere le persone che amiamo massacrate nella vita o fiaccate nell’animo da queste bestioline isteriche, che stranamente sono sempre accomunate dall’avere anche un aspetto sgradevole (o forse è una delle ragioni per cui sono così infami, chissà) che urlano, feriscono, minacciano, mandano messaggi stralunati, si cuociono e vivono nel loro livore e, cosa più incredibile, sempre credendo di essere nel giusto e di aver subito loro un qualche torto, nella realtà solo perché pensano di avere più diritto di altri in ogni campo, perché ritengono di non essere abbastanza al centro dell’attenzione, o perché sono state mollate da qualcuno con cui andavano a letto ed essi non si fanno mollare, al più mollano, che mica si sale sul tavolo a dire la poesia di Natale per tutta l’infanzia senza che questo significhi essere diventati la Principessa Sissi o Re Artù.
Negli anni ho coniato per costoro una definizione, quella del ragno piagnens, perché sono solitamente fastidiosi e anche un po’ schifosi come ragni, ma hanno in più il difetto di una vocetta stridula e penetrante, li riconosci perché il vocabolario utilizzato di solito è carico di insulti, per natura il ragno piagnens non conosce il rispetto umano ed è caratterizzato da alcuni intercalare tipici, che vanno dal “tu non sai chi sono io” al “io so’ io e voi non siete un cazzo”.
Il ragno piagnens si riconosce anche da alcune ossessioni paranoiche, tipo le manie persecutorie a minchia, il delirio ossessivo verso qualcuno che si prende di mira e si decide essere la causa di tutti i loro problemi – problemi che immancabilmente si sono creati da soli a causa della loro totale incapacità di collaborazione con gli esseri umani e considerazione del fatto che ci sono sette miliardi di persone tutte meritevoli di rispetto – e infine, tendenza a reagire con la dignità di una Erinni beccata a fare la cacca nei prati, quando ci sono di mezzo questioni sentimentali (un esempio: neanche una pena dell’inferno può essere paragonata all’ira di una donna rifiutata, diceva Shakespeare, quando ancora non le si chiamavano “ex”).
E insomma in questi giorni sono lì che assisto basita alle goffe manifestazioni di un ennesimo ragno nanetto e ciccione che sta facendo del male a una persona a cui voglio molto bene e mi ricordo di quando mi ci sono ritrovata io in prima persona, a combattere con i miei ragni.
Quel che poi so dalla mia esperienza, dato che ogni tanto aver superato la linea d’ombra serve, è che il ragno piagnens finisce sempre per soffocarsi con le sue stesse feci e di solito li ritrovi soli o possibilmente alcolizzati a inseguire nuove vittime, senza altre armi che fare del male a parole, mettere su dei teatrini per distruggere gli altri ma tutto ciò che resta loro tra le zampe è che sono i soli a rimanere fuori dalla festa, mentre le prede che inseguono le cose le fanno lo stesso, semplicemente senza di loro.
Nel frattempo, però, fanno casino, puzzano e siccome le persone giuste (non buone, giuste, nella vita quel che conta non è tanto essere buoni o cattivi, quanto giusti e le persone giuste non sono vendicative e hanno il senso della misura) nel frattempo soffrono la delusione umana.
Almeno finché non capiscono che non sono esseri umani, quelli, ma ragni da spedire nello Spazio infinito. Così penso intensamente a questa navicella spaziale, al fatto che prima o poi dovremo coinvolgere la Nasa in questo grandioso esperimento.
Un piccolo passo per un ragno, un enorme passo per l’Umanità.