Caro Sindaco Marino,
come stai? E tua moglie? E la tua famiglia?
Sono una bambina di otto anni e vivo a Roma in una casa un po’ lontana dal centro e anche lontana dalla mia scuola.
La mattina per andare a scuola mi ci porta mamma, dobbiamo prendere un bus, poi fare qualche palazzo a piedi e poi un altro bus.
Noi siamo felici perché hanno messo dei cartelli luminosi che dicono quando sta arrivando il bus. Tipo: 918 a sessanta fermate – sessantadue minuti. E’ molto utile.
Noi aspettiamo sempre tante ore il bus tanto che a mamma sono venute le vene varicose, io mi diverto perché guardo i vecchietti alla fermata e siccome non ci sono posti per sedersi faccio sempre le scommesse con il mio fratellino Mattia su quale vecchietto morirà per primo. Di solito vinco io.
Il mio papà ha una macchina, abbiamo una bellissima Panda rossa il modello prima, non quella nuovissima, e siccome lui lavora ai Parioli in un Bar, deve per forza andarci con la macchina, perché dovrebbe prendere tre bus e in mezzo tra un bus e l’altro ci sono molti chilometri da camminare, e papà è un pochino zoppetto.
Non abbastanza zoppetto da avere il permesso arancione per parcheggiare nei posti gialli come il nostro vicino il signor Martotti, che tanto comunque si lamenta sempre che in quei posti gialli ci stanno spesso gente senza il permesso arancione.
Comunque, papà quando ci porta al lavoro ché magari non abbiamo scuola e mamma non può portarci dove fa le pulizie, fa con noi il gioco di quanto tempo passa prima che troviamo il parcheggio. Ci sono due tipi di parcheggio: bianchi che puoi lasciarla per tre ore, oppure tu devi uscire ogni due ore e cinquantacinque e cambiare il disco orario, oppure blu costosissimi. Ma tanto quelli bianchi sono sempre occupati, ci sono macchine parcheggiate lì dal 1975, mi ha spiegato papà. Abbiamo visto tanti casi di suicidi di persone che cercavano parcheggio da sei giorni. Io e Mattia facciamo la gara a chi vede per primo uno che si lascia andare contro un muro piangendo e si uccide. Di solito vinco io.
Papà lavora otto ore e quindi paga solo quattro euro al giorno e li paga sei giorni settimana. Perché se superi le tre ore invece che un euro all’ora ti costa quattro in tutto. Papà mio guadagna settecento euro al mese, di cui quindi spende circa cento euro di parcheggio al mese, perché a quelli che lavorano in una certa zona, gli hanno detto, non è che ti danno il permesso per parcheggiare per la tua bella faccia.
Spesso poi portiamo nonna dal dottore, perché nonna è molto malata.
Anche dove c’è il dottore i parcheggi sono tutti blu. Dal dottore, che non è uno di quelli a pagamento ma gratis, si aspettano molte ore, quindi quando portiamo nonna dal dottore, sono tipo tre quattro euro di parcheggio tanto che a volte papà vorrebbe tanto lasciarla lì per godersi le otto ore.
E non puoi sgarrare! Ci stanno sempre ma sempre in giro dei signori con un gilet giallo fluo che girano tutti ghiottoni a cercare a chi appioppare la multa: uno in ritardo c’è sempre, uno che non ci arriva. Così GNAM, il Comune può prendersi ancora un po’ di soldini grazie al fatto che uno non può fare altro che prendere la macchina. Una volta papà ha litigato con una di queste signorine col gilet, proprio quando avevamo trovato un posto bianco: quella diceva che il disco orario ha su l’ora di quando devi andare via, papà diceva: “Ma che dice! Si mette l’orario di quando uno arriva!” e via così litigando, che abbiamo dovuto chiamare un vero vigile che ha dato ragione a papà e gli ha detto “Bisogna avere pazienza, questi che ci mandano non è che sono tanto preparati.” Pensi, signor sindaco, quella avrebbe fatto la multa anche se noi avevamo ragione!
L’altro giorno parlavamo di questa cosa a scuola e la mia maestra, una signora che ti ama molto e che era tutta felice quando ti dovevano votare e felicissima quando ti hanno preso a te come sindaco ci ha detto: “Non si deve prendere la macchina! Fanno bene a fare pagare i parcheggi! Guardate Marino, lui va in bicicletta! O sennò si prende cartugò, o il tassì!”
Papà ha detto che per prendere cartugò ci vuole la carta di credito e a noi la banca non ce la dà. Ha detto che cartugò è una cosa da radicalscic che possono permettersi queste cose.
Allora ho detto alla maestra: “Maestra, ma noi come facciamo in bici che papà è zoppetto e deve fare quasi venti chilometri per andare al suo lavoro, come la portiamo nonna sul sellino della bici? Nonna è un po’ culona, mica c’entra! E poi a scuola noi come ci andiamo, in tre con mamma in bici, e non abbiamo nessun diploma di radicalscic né carte di credito per chiamare il signor cartugò.”
Allora la maestra ha detto: “Cara bambina, devi pensare che il nostro sindaco fa tutto questo per pulire l’aria e disincentivare ( o disincintivare?) l’uso delle macchine e convincere la gente a usare altri mezzi.”
Quindi ti chiedo, caro sindaco in bicicletta: ma non sarebbe meglio che PRIMA ci dai a tutti la possibilità senza carte di credito e senza tassì ma con dei bus che passano sempre per noi gente un po’ più semplice e popolare che vorremo tanto prendere dei bus, bus che arrivano spesso e che passano dovunque, e magari poi DOPO ci incoraggi a disincentivare le macchine?
Se mentre aspetti di organizzare meglio i bus per favore potresti intanto evitare di far mangiare un decimo di stipendio di papà per parcheggiare la macchina al lavoro o per portare nonna dal dottore? Sarebbe una cosa carina.
Prima il dovere e poi il piacere, dice nonna. In bici sei tanto carino, ma tu non stai a Spinaceto e non hai nonna che non cammina da portare dal dottore. E sicuramente non hai le vene varicose da fermata Atac.
Distinti Saluti
Una opinione su "Muoiono alle fermate (lettera di una bambina romana al sindaco Marino)"