AMICI AR …

Quando cresci in una famiglia numerosa c’è una cosa che fino ad un certo punto della tua vita ti interessa poco o niente, che preoccupa invece moltissimo i genitori dei figli unici: gli amici/farsi degli amici.

Da piccolissima ancora prima di avere la più grande “amica” della mia vita, che è mia sorella, ero circondata da cugini più o meno coetanei e persino uno zio con pochi anni più di me (quasi tutti maschi, cosa che ti tempra) – sul fronte italiano ero travolta da cugine – nonostante questo quando ci siamo trasferiti dal paesino nel bosco in cui vivevamo a casa di mia nonna in un palazzetto nella periferia di Helsinki, sono diventata spaventosamente amica della bambina del piano di sotto e avevamo poi formato una specie di banda con gli altri bambini dei palazzo.

Quando mio padre ci portava in campeggio, d’estate, mia sorella e io ci facevamo sempre “molti amici”, io avevo la tendenza a formare bande con lo scopo principale di fare danni e quel che ricordo di ciò che per me significasse a quell’età il complicato concetto di “amicizia”, coincideva più che altro con confuse idee di lealtà e patti eternamente indissolubili.

Dal momento in cui non si scrive più sul diario l’elenco dei “Migliori amici” dove io per non farle mai torto ho sempre messo come “migliore amica ++” mia sorella, il concetto dell’amicizia diventa qualcosa di più macchinoso e forse a volte un po’ patetico.

Forse anche a causa dei social network dove basta che entri in rapporto virtuale con gente mai vista e con cui spesso nemmeno interagisci (quindi non si capisce perché ti richiedano il contatto) e ci si definisce amici, questo termine è  tremendamente frainteso.

Essere amici è quasi come essere fratelli, significa che a quella persona in teoria tieni  quasi più che a te stessa o almeno quanto a te stessa, che ti preoccupi veramente tanto quando sta male, che ne conosci i difetti e l’ami nonostante quelli – se non persino per quelli – è una persona a cui non vedi l’ora di raccontare ciò che ti accade di positivo e la prima a cui pensi quando stai male, quella per cui sei felice quando le capita qualcosa di bello, per cui soffri come se capitasse a te quando le capita qualcosa di brutto. L’amicizia è un legame che è parente dell’amore, insomma.

Ad essere fortunati, in un’esistenza, si incontrano al massimo un paio di amici.

E’ vero che la vita quotidiana ti porta spesso a non poterti vedere quanto vorresti, non vuol dire necessariamente che ci si debba frequentare ma è un sentimento disinteressato e un legame interiore che porta a volersi sentire in momenti topici, in cui sempre e comunque si tende a mettere da parte il proprio ego perché ci si concentra sull’altro quando ne ha bisogno e sicuramente non si riesce a far passare troppo tempo senza preoccuparsi che l’altro stia bene e ci si accorge quando non è così.

Ultimamente ho riflettuto di nuovo su una questione che, nel quadro della superficialità del mondo umano, mi irrita.

Basta che si abbia piacere a stare insieme, che ci si conosca e non ci si odi a sangue e le persone si esaltano in espressioni infantili tipo: “Siamo tanto amici/è un mio amico/è una mia amica”.

Nel lavoro che mi sono scelta, poi, basta passare qualche settimana su un set a farsi quella miliardata di complimenti melensi e massaggetti sulle spalle tra un ciack e l’altro tanto cari ai cinematografari che ci si dichiara amici, fingendo di non sapere che finito il film non ci si sentirà più se non

PER CHIEDERE QUALCOSA.

Alle volte ci si vede e ci si frequenta per un periodo con una persona, magari si ha un transitorio interesse in comune, oppure se si tratta di due persone di sesso diverso, o dello stesso sesso ma interessate al proprio, magari una è interessata all’altra per ragioni più prosaiche che poi vengono deluse… insomma frequentare lo stesso corso di francese o la stessa palestra o nascondere un corteggiamento dietro il pretesto dell’”amicizia”, sono circostanze che non significano affatto che si sia creato quel legame, che richiede anni, disinteresse e passare per dure prove, che dovrebbe essere l’amicizia.

La cosa più pornografica che possa accadere, ben più di una persona che ti dice di amarti per portarti a letto, è chi tesse rapporti di presunta amicizia perché in realtà vuole crearsi una rete di favori.

Dunque, a ognuno di noi capita di avere notizie di chi, definendosi tua amica, di fatto si va viva solo quando serve qualcosa, ti deve chiedere qualcosa.

Intendo, ognuno di  noi si crea la propria rete di relazioni per lavorare, trovare un buon medico, un commercialista o l’avvocato.

Ma perché non saper separare le due cose?

Che bisogno c’è di farsi vivi – quasi sempre iniziando la conversazione con un preventivo “sei sparito”, quando tu non ti sei mai mosso da dove stai – fingersi interessati alla tua vita e ai tuoi malanni, magari giustificando il fatto che sono anni che non ne sai niente raccontandoti le loro escursioni in Nepal, ragione per cui non si sono fatti vivi, per poi finalmente arrivare al punto e chiederti qualcosa?

Non è più veloce e meno fastidioso chiamare e rivelare: “Ciao caro, ho bisogno di chiederti un favore, tu forse puoi aiutarmi”?  Che male c’è?

Trovo veramente osceno il fatto di metterci in mezzo un sentimento nobile come quello dell’amicizia.

Quindi, esasperata dalla mia buona educazione per cui sono riuscita a subire in silenzio questo fastidio per anni, ho deciso ultimamente di rifare il mio elenco dei “più amici” e sfoltire un po’ di conoscenze che esagerano nella definizione del rapporto che hanno con me e ragionare, scrivendo su una lavagna, su quali siano le caratteristiche del falso amico/in realtà accollo parassitoso.

Il falso amico è quello che:

si va vivo solo per chiederti qualcosa, ti invita a cose interessanti solo per lui e possibilmente in cui serve che tu spenda il tuo denaro, ti coinvolge quando gli servi e non ti coinvolge quando non gli servi (mai per il piacere di averti, insomma),  non si sogna di proporti una mano se serve a te, sparisce se la chiedi direttamente, non si cura realmente di come tu stia perché decide a priori che tanto tu sei felice mentre invece lui sì che c’ha i casini, si offende se non gli dai un numero di telefono che gli serve per lavoro, se ti invita a cena è per reggergli il gioco perché ci sta qualcuno che gli piace o se puoi portare qualcuno che interessa, o se deve chiederti un favore per se stesso o per qualcuno a cui tiene (veramente), se c’è qualcosa di veramente divertente si dimentica di invitarti, se vi vedete parla solo di sé e nemmeno coglie da come stai che magari il giorno prima tu hai avuto un intervento chirurgico durato sei ore, preso com’è dallo sfogo sulla sua vita e i suoi accadimenti su cui tu non devi dargli “consigli”, devi dargli ragione e dire che ha fatto benissimo, considerando poi che anche se ti sapesse in ospedale farebbe finta di non saperlo a meno che non venisse a sapere che in camera con te ci sta un tizio a cui vorrebbe portare il curriculum.

Quindi ho creato la seguente espressione, che credo vada un po’ su tutto:

“No, scusa, noi non siamo amici, lo so che non te ne frega niente di sapere come sto e francamente non ho interesse per il tuo viaggio in Nepal a causa del quale non ti sento da un anno, ma dimmi lo stesso che ti serve, se posso ti aiuto.” che mi pare una soluzione veloce e comoda per tutti.

E ho cancellato un po’ di gente dall’elenco a pagina 1 del mio diario.

amici-miei

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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