ORZOWEI (na-nananan-nanananà)

Mio nonno, quello siciliano, era un grande amante dei cani. Da quel che so ha sempre avuto un cane, a volte più di uno. Un paio di questi cani erano degli ex-cani poliziotto che aveva rilevato, tramite un suo amico commissario, per evitare loro una brutta fine.

Per questa ragione, perché il buon senso e l’amore per tutte le creature viventi di questa terra è una cosa che nasce dall’educazione che si riceve, mio padre era un amante degli animali davvero sfegatato, nel senso che amava moltissimo i cani ma tutti gli animali in genere, diceva di provare per loro “ammirazione e rispetto”.

D’altra parte, nella famiglia di mia madre, i miei nonni hanno sempre amato moltissimo gli animali, c’erano dei gatti, pensati soprattutto per tenere lontano i topi dalla loro casa su tre piani nel bosco, ma che ovviamente venivano coccolati e tenuti al caldo quando andava loro di stare in casa, sennò se ne andavano in giro e tornavano quando andava loro, e c’è sempre stato un cane. Ci sono state anche galline, che però poi si mangiavano (i cani, i gatti e i topi, no). Così come nella casa di campagna dei miei nonni siciliani, quando ci andavamo d’estate o per Pasqua, ci stavano diversi agnelli e capretti che alcuni pazienti di mio nonno – medico, che ha sempre aiutato le persone con pochi mezzi – gli regalavano per gratitudine.

In particolare passa alla storia uno di questi agnellini che gli era stato portato nella casa di città prima di essere poi trasferito nella più pratica casa di campagna, a cui avevo dato un nome. Fiocco.

Quando fu portato in campagna io ci sono rimasta malissimo, quindi non vedevo l’ora di andare lì per Pasqua per ritrovare Fiocco.

Il resto ve lo potete immaginare.

“Dov’è Fiocco, dov’è Fiocco, mamma non trovo Fiocco!” ha risuonato per tutta la mattina per le campagne e nella grande casa odorosa d’antico dei miei nonni, che era stata dei miei bisnonni, finché, poiché tormentavo con questa nenia gli ospiti a tavola, uno di questi, pensando di essere spiritoso, non proferì le parole mitologiche: Te lo stai mangiando.

Inutile dire che da allora non posso nemmeno più sentire l’odore di agnello senza avere la sensazione che stiano cucinando il mio cane.

Mio padre, in quell’occasione, tornando in macchina ha detto una cosa che per me è stata la falsariga del senso delle misura su certe faccende per tutta la mia vita:

Che crudeltà inutile.

Un ossimoro, si dirà, perché ogni crudeltà è inutile. La crudeltà è sinonimo di stupidità e di frustrazione.

Riguardo agli animali, tanto discussi in questi giorni per via di questa faccenda, quel che io ho imparato da persone intelligenti e forse a volte dispiaciute dalla vita ma non certo frustrate che – per mia fortuna – fanno parte della mia grande famiglia, è che si amano e si rispettano tutte le creature, al punto che tutt’oggi non sono del tutto sicura che le zucchine non provino dolore quando le si strappano dall’orto e al punto che detesto i fiori recisi e chi mi conosce sa che non deve MAI portarne, perché fin da piccola ho sempre pensato che strapparli via e togliere ai fiori ulteriore vita rispetto alla breve esistenza che spetta loro mi è sempre sembrata una crudeltà, una maniera tutta umana di utilizzare le cose belle della natura come personale gadget.

Oltre ad amare e rispettare tutte le creature che stanno su questa Terra (e se venisse fuori qualcosa di nuovo, anche non di questa Terra) mi è stato insegnato a prendere le difese dei più deboli quando questi sono più deboli, nel limite delle mie possibilità e se questo non significa fare ancor peggio a qualcun altro. (“Lasciatemi con una borraccia e andate” era difatti il mio personaggio nei nostri giochi da bambina).

Quel che la Natura ti insegna è che la realtà, secondo i nostri canoni moralisti è apparentemente crudele. Per un moralista (si veda: differenza tra morale e moralista del pluricitato Pier Paolo Pasolini ndb) il funzionamento stesso della Natura e dell’ecosistema dovrebbe esser il tripudio dell’Ingiustizia.

Basta vedersi un po’ di National Geographic per deglutire con difficoltà.

tigre

A questa affermazione mi è capitato di sentirmi rispondere: “Ma che stai a dì, gli animali non fanno mai crudeltà inutili, essi uccidono per mangiare!” e ho sempre risposto che li avrei lasciati volentieri a fissare i nostri quindici gatti che razzolavano in cortile per vedere cosa facessero con un topo mezzo morto e mezzo vivo prima di dargli il colpo finale. Noi umani per semplicità lo chiameremmo “giocare”. Ma non li ho mai giudicati buoni o cattivi per questo, crescere con molti animali intorno mi ha spiegato senza tanti fronzoli che cosa sia veramente, appunto, la Natura.

A voler essere pragmatici, non esistono creature più o meno buone su questa Terra, esistono creature che operano per la propria sopravvivenza e per perpetrare la propria progenie. Ma esistono anche solidarietà, empatia, regole sociali, sia in quel genere dell’animale nudo che è l’uomo che in quegli altri, tanto o poco pelosi che siano. La sola differenza è che noi possiamo pensarci su, sia prima che dopo. Che la nostra “morale”, quella che ci regola, sia perlopiù contrattuale, lo dimostra la Storia e anche quel che succede nel mondo, mi pare. E’ abbastanza evidente che il resto è molto confuso e la falsariga che seguiamo proviene da chi ci ha educato e come, da quanto siamo sereni con noi stessi o quanto abbiamo bisogno da qualcuno con cui prendercela.

Sempre a proposito di nonni, l’altro, quello già citato che è tornato da un campo di concentramento, ha raccontato cose che voi umani non potete nemmeno immaginare su quel che significhi governare questa falsariga morale quando si tratta di sopravvivere tu o aiutare a sopravvivere quelli che ti stanno accanto.

E nemmeno io mi posso immaginare, perché solo chi si trova in certe situazioni può comprendere cosa significhi patteggiare costantemente tra quel che pensi giusto e quel che l’istinto biologico, quell’Anima in senso aristotelico che genera e tiene in piedi il miracolo della vita, ci spinge a fare.

Questo è l’insegnamento più grande e più saggio che possiamo prendere proprio dagli animali:

gli animali agiscono per sopravvivere, per non fare morire i proprio piccoli, per non soccombere. Ma spesso aiutano il più debole della loro specie. Spesso adottano il cucciolo di un’altra specie, magari un secondo dopo averne ucciso la madre per nutrire i propri cuccioli, perché sentono che quel piccolo è più debole.

Gli animali non si chiedono se sia giusto o sbagliato, l’Anima dice loro che si aiuta chi è più piccolo, chi sta soffrendo, chi non ce la fa. Si fa per istinto: si è portati a pensare a chi, in quel momento, è più debole.

Un’altra cosa che mi hanno insegnano i miei nonni e miei i genitori, e che ora mia sorella trasmette alle sue figlie, è poi un altro principio che mi ha fatto alle volte discutere con presunti amanti degli animali (dico presunti perché chi ama veramente gli animali non ha bisogno di farsene vessillo per dare un senso alla propria identità o una ragione di presunta superiorità morale) : gli animali vanno trattati come animali, non vanno antropomorfizzati.

Va considerata e rispettata la loro natura, ecco perché al primo cane che mi è stato regalato per quanto leggessi ancora a malapena perché avevo appena iniziato la prima elementare, mio padre mi ha ricoperto di libri sulla natura del cane.

I miei stanchi occhi nella vita hanno visto di tutto: cani nel seggiolone, cani che mangiano filetto, cani portati dallo psicologo o a fare i massaggi.

Mio padre mi ha insegnato che quando decidi di vivere con un animale bisogna essere pronti ad adattarsi a lui e portare l’animale ad adattarsi a te. Ma cercando di capire le sue regole, i suoi principi di branco, di bisogno di qualcuno che decida, di necessità di spazi, di paletti da mettere, etc. senza crudeltà inutili pensate a mio vantaggio. Mi ha spiegato e dimostrato quanto sia, ad esempio, crudelissimo ed egoista castrarli, sterilizzarli, o tagliare le unghie ai gatti. Eppure, questi presunti animalisti che augurano a una ragazza di venticinque anni di morire, hanno sicuramente in casa animali che non hanno mai scopato e mai scoperanno, e si dicono pure che “è per il loro bene”. Un veterinario (serio, non di questi new age che stanno lì per togliere i sensi di colpa all’ “animalista” da salotto) mi ha spiegato, anche se basterebbe pensarci con il buon senso, che sterilizzare qualunque creatura bene certo non gli può fare. (e di certo non sarebbe contento per niente se sapesse cosa stanno per fargli, creatura). Ma certo è più comodo: avere un animale in casa nel pieno delle sue potenzialità è una gran scocciatura, poi quelli pisciano e puzzano, e poi devi fare in modo che ogni tanto si accoppino…noiosissimo.

Per non parlare di quelli che tagliano le unghie ai gatti: non farebbero prima a paralizzarli del tutto e tenerseli come dei piccoli gadget per il proprio piacere e per poter dire a se stessi che sono tanto buoni e amanti degli animali?

Ho visto gente mettere reti dappertutto perché così i gatti non scappano. Ma se quelli vogliono andare via? Perché non accetti che i gatti non ti appartengono, non ti apparterranno mai? Si affezionano alla casa, avranno sempre tanto rispetto per te, ma sono spiriti liberi, cosa li sequestri a fare? Come se non facessi uscire tuo figlio di casa fino alla morte. Può finire sotto una macchina? E pure tu puoi finirci. Prendere un gatto, come è stato per noi, per mia sorella che li ama e ne ha sempre avuti, significa prendersi il rischio di quel dolore lì: loro, per natura, vanno e vengono.

Se tu amassi i tuoi gatti e non l’idea di possederli, rispetteresti il fatto di metterti in casa un marito poligamo ed avventuriero. Se non ti piace l’idea lasciali in pace, non li prendere.

Quel che insegnano mille specialisti (siamo travolti da tanti programmi in merito) è che devi sempre chiederti se pensi che queste bestie abbiano bisogno di te (100% dei casi: no. Rassegnatevi: no) o se non sei tu che hai bisogno di loro.

Se ti fa piacere avere un cagnolino, o un gatto, perché li hai trovati, li hai salvati da qualche situazione, ti devi adattare, hai a da’soffrì. Per condividere la vita con un animale non esiste avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Allora tu, che hai a casa un poveraccio a cui hai fatto tagliare le palle, e magari gli metti pure una ridicola maglietta della tua squadra del cuore, cosa hai da dire o da spartire con il fatto che ci si dovrebbe preoccupare di quello che fanno agli animali in Antartide o nei laboratori di ricerca? Prima levati la trave dall’occhio tuo, ci sarebbe da dire.

Questa gente spiattella con morbosità foto truculente sui social per dire “Esseri umani di merda! Uomini! Guarda che fate!” mentre magari quel poveraccio dietro di loro si sfragne dalla noia a guardare fuori dalla finestra con le sbarre perché da quando è nato non è mai uscito da quel cacchio di appartamento se non perché portato in una gabbietta dal veterinario o alla casa al mare (che gli fa schifo e non ci si ritrova), bene, non è il caso di pensare sempre mille volte prima di parlare o di farsi paladini della causa più à la page e adottare, invece, l’unico metro che ci è dato dal buon senso per combattere ogni giorno ciò che non ci piace, cioè guardandoci prima intorno?

Le vere battaglie sono quelle che si fanno senza tutta questa scompostezza. Firmare petizioni, chiedere spiegazioni, rivolgersi alla politica perché non siano eseguite crudeltà inutili sui più deboli, tutto ciò è un nostro dovere ma bisogna sempre, sempre saper fare dei distinguo e avere il senso della misura.

Quello che rende veramente grave la condizione del nostro mondo occidentale, con un culo troppo pieno, è l’affermazione assoluta dell’ipocrisia.

Quando ho letto la notizia sopra citata, mi si è accapponata la pelle ma non solo per le ragioni che stanno portando tutti, da che grande “animalista” fosse Hitler, a provare orrore per chi possa seriamente augurare la morte a un essere umano come a dire che la sua vita è “inferiore” per importanza a quella di un animale, ma mi sono venuti i brividi per l’oceano di stupidità, di cattiveria e crudeltà che alberga in chi non ha fatto altro che deviare la propria natura cattiva, lesiva e crudele in una veste che ritiene socialmente accettabile, questa gente pensa che la propria incapacità di relazionarsi con i propri simili, l’odio che hanno per gli altri (ma poi magari perché sono stati lasciati da uno o una che non li voleva, magari perché dicevano loro brutto a scuola, o perché pensano di essere dei geni incompresi e non potrebbero mai accettare la propria mediocrità) possano trovare sfogo nell’abbracciare la prima causa che passa, come il banale “amo più gli animali che gli esseri umani” facendo loro sì, una scala di valori della vita su questa terra.

Io proporrei a queste persone di aver veramente rispetto degli animali, tutti, e chiederne l’opinione magari chiudendosi in una gabbia con il dolce leone o facendo du’ passi con l’allegro branco di lupi selvatici. Perché non vanno a vivere nella Buona e Giusta Natura, in una bella giungla, senza minimamente compromettersi con l’orrida scienza umana, nemmeno un’aspirina, una cremetta idratante, niente. Veramente nella Natura, non con l’ipocrisia di comprarsi la magliettina fatta di mais da trecento euro e mangiando muesli biologico. Una bella giungla. Una savana. Un nordico bosco con orsi e lupi. Felici, con gli animali, a pari merito, come Orzowei.

Ad una persona che mi ha fatto due palle così per una serata sulla presunta superiorità morale di chi non mangia carne (dopo aver detto le peggio cose di una signora filippina di servizio a casa di sua madre, peraltro) ho proposto questo, volevo un gesto che mi convincesse: “Chiuditi in una stanza senza acqua né cibo a tempo indeterminato, solo tu, un coltello e una gallina viva. E dimostrami che ti lasci morire di fame.”

Madre Natura e te che vi fate una bella chiacchiera. Non ci crederete: non l’ha fatto. Pazzesco, no? Non era certa quindi che la sua vita valesse meno di quella di una gallina. O che quella della gallina valesse di più. Vai a capire.

Il buon senso dovrebbe farci rifiutare ogni crudeltà inutile ma renderci anche umilmente consapevoli, e allo stesso tempo fieri, di riconoscere che siamo anche noi “animali di questa Terra” e quindi fallibili e quindi che non possiamo permetterci di giudicare chi si trova in situazioni estreme che spesso non riusciamo nemmeno ad immaginare. La vera grande differenza tra la “scimmia nuda” che siamo noi e gli altri animali, dovrebbe essere che agli esseri umani è stata data una scintilla che in sé contiene il potenziale di doni grandi come la pietas e appunto il buonsenso.

Io amo immensamente gli animali, come ho precedentemente scritto amo immensamente l’Umanità (ma mi da’ spesso sui nervi la gente, dove ad esempio chi ha insultato Caterina Simonsen è esattamente la “gente” che intendo), trovo crudele e discutibile che si faccia del male inutile a degli animali per trovare la crema antirughe perfetta. Mi dispiace pensare che si faccia del male inutile agli animali, così come mi si è spezzato il cuore quando, a diciassette anni, una compagna di scuola è morta di cancro nel giro di pochi mesi e la scienza non ha potuto salvarla, mi si è frantumato il cuore quando la scienza non ha potuto salvare mio padre, così come mi dispiace quando vedo quei poveri cani o gatti trattati come puppets da compagnia, così come trovo orrendo come uccidono i maiali e mi sono sempre chiesta perché non gli sparino un colpo in testa senza farli soffrire. Perché appunto il mio buon senso e l’intelligenza che mi è stata trasmessa mi hanno svelato presto che non esiste il mondo di Oz e che Madre Natura appare davvero crudele in sé e per sé, il suo sistema è crudele, e noi ne facciamo parte. Magari finché abbiamo il culo pieno potremmo non avere la lungimiranza e l’umiltà per vederlo, dentro di noi.

Ma, questi che si definiscono animalisti e augurano la morte a una ragazza che combatte da tutta la vita, insultano la dignità degli animali stessi, e – senza offese per il mondo dei polli – hanno il cervello più piccolo di quello di una gallina. Mi auguro davvero che i “veri” animalisti (quelli che combattono davvero per evitare le pluricitate “crudeltà inutili”) prendano posizione. Poi, non ho augurato e non auguro mai il male a nessuno, quindi a quella gente non augurerei mai di ritrovarsi per uno strano senso della giustizia universale a dover combattere per la propria vita o per quella di un parente che amano, e che quindi si ritrovino a riflettere su che abominio della natura sia la gente come loro, solo per quello che hanno detto ad una ragazza che passa sedici ore al giorno attaccata a un respiratore. Non lo augurerei, ma magari Madre Natura manderà loro un messaggio. Sa essere molto spiritosa.

 

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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