Arriva il Natale e il business più proficuo del mondo occidentale, va da sé, è la faccenda dei regali. Accantoniamo l’aspetto grottesco delle tonnellate di candele profumate, cravatte improbabili e oggetti ideati da un pazzo che una volta ricevuti finiscono nel cassetto dei regali da riciclare, dando quindi vita ad un infinito flusso di pela-mango e Regine Elisabetta che fanno ciao con la manina da mettere sul cruscotto.
Colgo l’occasione invece per parlare di una cosa che mi sta a cuore e che, in parte, è protagonista dell’e-book che ho appena messo su Amazon. (questo)
Adesso tutti voi, o almeno il 99% di voi avrà anche da fare regali ai bambini e comprerà quindi dei giocattoli.
Per me, comprare un giocattolo ad un bambino o una bambina è sempre un po’ un problema. Persino sceglierglielo. Quando le mie nipoti erano piccole e le portavo in un negozio avevo i sudori freddi mentre dicevo, con aria fintamente svagata: “Scegliti qualcosa, amore”.
Starete pensando quanto sia vero e quanto vi identifichiate in questa situazione, quanto sia difficile capire cosa piace a un bambino.
Ma no. La mia situazione è diversa.
Ho un problema inconfessabile, forse uno di quei programmi in voga di questi tempi la chiamerebbe ossessione:
ho paura di certi giocattoli.
Credo che la causa di tutto questo sia lui:
E’ stato il primo regalo fattomi appena nata.
Ora, di solito i bambini si attaccano furiosamente al loro orsetto, alla loro bambola nella culla. Io no, mamma dice che ero fissata con uno straccio tipo coperta di Linus ma snobbavo questo ed altri pupazzi, non stravedevo per le bambole.
La verità è che da che ricordi a me le bambole fanno paurissima, i pupazzi di peluche non ne parliamo e più sono stilizzati, tipo grandi occhi di plastica, pelo rosa, più mi irretiscono.
Non mi sento a mio agio quando un oggetto di plastica ha degli occhi e mi fissa.
Non riesco a capire come si possano amare.
Da piccola, quando ci hanno regalato Ciccio Bello a mia sorella e me, la volevo convincere che fosse vivo. Lui era lì seduto, con quella faccia autistica e assente e io dicevo a mia sorella:
“Si è mosso, lo vedi! È vivo!!”. Ma più che per paura che venisse a strozzarci nel sonno, un po’ speravo che fosse un essere vero perché ‘sto fatto che fosse in tutto e per tutto di sembianze umane ma stesse lì a fissarci inerte, mi faceva veramente impressione.
Diverse volte ho provato a fargli la respirazione bocca a bocca per rianimarlo, come avevo visto fare in un film e poi dicevo a mia sorella: “Bene, adesso è vivo”.
Meglio vivo che bambola, ovvio.
I pupazzi poi, non so se l’avete notato, quasi sempre sorridono.
Cioè: avete mai visto sorridere un orso? Un coniglio? Un cane? UN DRAGO?
Ma come li vogliamo crescere questi bambini? Con l’idea che gli animali sorridono? Poi non stupiamoci quando quelli crescono e fanno cose strane.
Polly, il mio celebre orsetto di cui sopra, se non altro non ha i denti. Se sorridesse con i denti forse mi sarei suicidata prima dello svezzamento.
Nel tempo, comunque, me lo sono portato sempre dietro, è l’unico pupazzo che ho tenuto perché sento che nella sua presenza nella mia culla da appena nata deve risiedere in qualche misura l’origine delle mie paure. Sono abbastanza sicura che mi abbia aggredito, forse i miei lo hanno trovato con le zampine intorno al mio esile collo e avranno pensato che mi era solo caduto addosso.
Fatto sta che tenersi vicino l’origine delle proprie paure a volte aiuta ad esorcizzarle. Per sicurezza ovviamente non lo tengo mai nella stanza in cui dormo, non si sa mai.
Comunque.
Negli anni, ogni volta che mi facevano un regalo tipo pupazzo o bambola, la mia sofferenza si acuiva. Un altro di quegli assassini entrava in casa mia e tutti pensavano io fossi felice. Mia madre o mio padre dicevano: “Ringrazia, Annina, guarda quanto è bello/bella!”.
Capivo quindi che in questo mettersi dei killer in casa, quelle specie di fantasmi in plastica, panno e polistirolo, insomma, risiedeva un qualche fattore di educazione nei rapporti sociali, e così me li dovevo cuccare, mettere sulle mensole e passare la vita a guardarmi da loro.
Con mio sollievo la mia prima nipote, quando andavo in giro con lei per scegliere un regalo di Natale, optava piuttosto per dei libri; la più piccola poi è una di quelle angeliche bambine che ti dicono “non voglio niente, davvero” e finisce per scegliere giochi tipo Lego, al più Barbie (le Barbie sono gestibili, non uccidono, non solo perché sono piccole, è che sono cretine).
Infilarmi in un negozio di giocattoli ora come allora è come una visita nel tunnel dell’orrore.
Quindi, un consiglio per chi deve fare dei regali a dei bambini: chiedete sempre “a te piacciono i giocattoli, tesoro?”
Perché vi siete probabilmente dimenticati che essere bambini è una cosa molto diversa da quella che ricostruiamo dall’analista pensandolo come un tempo perfetto e sereno, molto diversa da quella che riproducono nelle pubblicità. È un fottutissimo periodo in cui dovevamo difenderci da tutto. Persino dagli orsetti.