Oggi sono andata in banca, non era la mia agenzia, mi sono fermata ad un’agenzia di passaggio della mia banca perché dovevo – sic – fare un versamento al volo.
Questo per dire che non conosco la gente che lavora in quella filiale, anche se poi ormai gli impiegati delle nostre filiali cambiano alla velocità della luce, e al “ti offro un caffè/come sta la tua famiglia” del rapporto banca-cliente di un tempo ormai ci rapportiamo quasi sempre con gente che va, gente che viene e ci manca poco ti chiedano il documento anche per versare pure se hai il conto in quella filiale da quando sei nato.
Comunque, stavo aspettando in fila con lo sguardo di Whoopi Goldberg in “Ghost” quando deve mollare l’osso – non so perché ma ogni volta che metto dei soldi in banca mi pare di non averli più … o forse questa mia sensazione inconscia non è così folle, tutto considerato, visto che a quanto pare “faremo la fine della Grecia” – comunque mentre aspetto, involontariamente, ascolto e osservo una scena che si consuma alla mia sinistra.
Un giovane uomo, sui trent’anni, maglietta grigia con scritta, jeans, scarpe da ginnastica, fede al dito, capelli tagliati bene, dice al cassiere di aver telefonato qualche giorno prima per una questione di “rinegoziare il mutuo” e gli sarebbe stato detto di rivolgersi lì, alla propria agenzia.
Il cassiere gli indica un loculo dell’open space in cui ci troviamo:
“Deve parlare con la dottoressa Pinca Palla”.
Lui va da Pinca Palla.
“Sì?”
“Ho chiamato due giorni fa e parlato con un suo collega, devo rinegoziare il mio mutuo…”
Pinca Palla se lo squadra.
(Pinca Palla è una donna di una cinquantina d’anni, indossa un tailleur pantalone nero di quelli da iconografia della donna manager, ha molti anelli sulle dita, capelli tinti di nero nerissimo e cotonati, collana di finte perle, I-phone sul tavolo – che consulterà spesso durante la conversazione – molto trucco sugli occhi)
“Avrà parlato con il numero centrale, non con noi.”
(io mi chiedo, da cosa lo sa? La risposta è forse: “i ragazzi con maglietta grigia e scarpe da ginnastica vengono dirottati direttamente alla centrale”?)
Gli fa segno di sedersi.
“Dunque, come le dicevo, io ho un mutuo, dovrei rinegoziarlo, perché vede, lo abbiamo fatto cinque anni fa. Però mia moglie ha perso il lavoro, quindi siamo un po’ strozzati…”
(il ragazzo è molto tranquillo, capisco che è il primo step di questa faccenda. Mi immagino lui e la moglie la settimana prima:
Flash back:
“Amore, così non ce la facciamo, ora arriva la prossima rata. Tra le bollette, l’asilo del bambino…”
“Senti, chiamo in Banca, quando abbiamo sottoscritto il mutuo hanno detto che casomai si poteva rinegoziare.”
“Che vuol dire?..”
“Magari ci abbassano le rate ma ci aumentano gli anni…”
Lei riflette.
“Mh…”
“Ma dai, invece che pagare per trent’anni pagheremo per trentacinque. Ma almeno al momento campiamo. Se tu non trovi qualcos’altro come facciamo?”
“Ok, hai ragione. Ma se ci dicono di no?”
Lui sorride, prende il telefono.
“Non ti preoccupare, amore, ti ricordi quanto era gentile il signor Sparacazzate quando abbiamo firmato per il mutuo? Ha detto che si poteva rinegoziare…”
Ha telefonato, gli hanno detto di rivolgersi in agenzia. Lui pensa che uscirà di qui con il cuore più leggero, pensa che il mondo sia un posto ordinato e giusto).
Pinca Palla lo interrompe.
“Con calma. Lei si chiama?”
“Italiano medio giovane”
Quella, tra una ditata e l’altra sul suo I-phone digita qualcosa sul suo computer.
“Eh, ma lei ha un mutuo con tasso variabile…non si può…”
“Ma il signor Sparacazzate mi ha detto che si poteva rinegoziare in qualunque momento.”
La signora ha un atteggiamento che istiga sediate.
“Sparacazzate non so chi sia, si vede che lavorava qui prima di me e comunque non credo possa averle detto che… questo mutuo… si può rinegoziare in qualunque momento!”
Il ragazzo ha la voce adesso più preoccupata, un po’ stupita.
“…mi ha detto così. Ma anche al telefono il suo collega…”
Pinca Palla è sempre più acida, come se quello le stesse chiedendo di pagargli lei il mutuo.
“Al centralino che le devono dire, avrà detto che doveva rinegoziare il mutuo, che ne sa il collega che mutuo ha sottoscritto, lei? Le ha detto che doveva venire in agenzia, ovvio!”
Il ragazzo è sempre più smarrito e, tenerissimo, parla a Pinca Palla come fossero due esseri umani e non un giovane uomo e una sciacalla gregaria, frustrata nella vita e tronfia del suo piccolo patetico potere.
“Guardi…” dice lui “Il punto è che mia moglie, appunto, ha perso il lavoro, quindi non ce la facciamo… è che non voglio trovarmi a non poter pagare e quindi…”
“Non può NON pagare.” (manifestazione di intelligenza superiore, volevo farle un applauso)
“Certo, certo che non posso. Certo che voglio pagare. Ma io devo cambiare la rata, perché sennò finisce che ci ritroviamo il problema di non poter mangiare.”
Devo chiarire qui, per dovere di cronaca, che il giovane uomo ha un tono tranquillo, gentile, non patetico o elemosinante. Ha il tono del buon senso, del rispetto dell’altra ma anche di serena dignità.
Ma a questo punto le nubi nel cielo di sono addensate sopra l’edificio, gli uccelli hanno smesso di cantare, forse da qualche parte un vulcano è esploso:
Pinca Palla si aggiusta sulla sedia e fa (giuro, e giuro perché se me lo avessero raccontato avrei stentato a crederlo):
“Senta, non è che il suo problema del mangiare o non mangiare è un problema della banca, eh? il suo mutuo non è rinegoziabile…”
Io ho avuto un brivido lungo la schiena di quelli atavici. Ho temuto di cominciare da lì a poco a provare odio e istinti sgradevolissimi, mentre intanto era arrivato il mio turno alla cassa.
Un signore di mezz’età dall’aria simpatica mi aspettava dietro il vetro.
Io devo aver fatto un’espressione tremenda, e mi è scappato un: “Certo, allucinante…”
Quello capisce a cosa mi riferisco e fa un gesto vago, come a dire “che ci vuole fare…”
Intanto il ragazzo, con ostinata gentilezza ma qualcosa di rotto nella voce, dice:
“Senta io ho pagato, mica sono venuto qua perché non ho pagato e…”
E quella, giuro alla seconda, ribatte, spazientita:
“Ascolti, in ogni caso è una faccenda lunga. E’ l’una e venti, noi andiamo in pausa, torni alle due e mezza.”
“Non posso tornare…vado al lavoro, ho chiesto un permesso.”
Pinca Palla, sempre smanettando con l’I-phone, si alza e si tira su il pantalone. Vedendola in piedi noto che ha i tacchi a spillo sottili sottili.
“E allora venga lunedì.”
“Ma devo chiedere il permesso… “ anche lui si alza “Ma quindi si può fare qualcosa per rinegoziare il mutuo?”
Quella si allontana sculettando malamente verso un altro loculo e il ragazzo rimane lì in piedi.
“Venga lunedì!” conclude la sciacalla sui tacchi.
Io ne incrocio lo sguardo, me la osservo dalla testa ai piedi manco avessi i raggi X di Terminator. Il risultato del mio Voight Kampff, dopo un’accurata analisi del soggetto confermava: “Categoria: stronza col botto – Razza: sciacallina – Abbigliamento: coatta coi tacchi che si finge donna manager.”
Ma lì, in quel mio fissarla senza imbarazzo, ho compreso che qualcosa della forza sciamanica della mia bisnonna mi è davvero passato nel sangue: Pinca Palla ha fatto un piccolo “ops” ed è quasi cascata da uno dei suoi sottili trampoli.
Esigua soddisfazione. Anche perchè la sciamana gandhiana che è in me non è nemmeno riuscita a farla cascare. Solo “ops”.
Per un paio di minuti ho pensato alla crisi, a quanto sia orrendo l’essere umano, a quanto mi dispiaccia per ognuno di noi, per tutta la gente che ogni giorno, fronteggiando i problemi e il mondo che cambia, potrebbe farlo meglio e con più rispetto di se stesso se solo questo nostro Paese non avesse perso il senso di
Quanto cambia qualunque cosa tu voglia dire ad un altro essere umano a seconda del tono che scegliamo di usare.
Perché quella orrida donna ha trattato quel giovane uomo da poveraccio, perché lo ha immediatamente messo sotto per una questione, potenziale poi, nemmeno ancora effettiva, di difficoltà economica? Perché quel genere di gente che ondeggia maldestramente sui tacchi, che si riempie di gadget e status che ne definiscano un presunto valore, gente che pensa che il proprio valore dipenda dalla cifra dello stipendio, può impunemente mancare di rispetto agli altri?
Ripeto alla stanchezza un concetto per me fondamentale: come è possibile che l’insulto, la mancanza di rispetto, non siano i più gravi dei reati?
Ho versato i miei soldi – pezzi di carta che secondo l’orrida gente che sculetta malamente su tacchi sottili come lame ci definiscono e valutano – ripetendo in cuor mio che l’umanità è perlopiù orrenda.
Il ragazzo ci è passato davanti, l’impiegato di mezz’età dietro al vetro si è calato gli occhiali e lo ha chiamato con la mano.
Quello si è avvicinato.
“Sì?”
“Martedì” gli ha detto l’impiegato “Non venire lunedì. Vieni martedì”.
E gli ha fatto l’occhiolino.
Il ragazzo ha sorriso debolmente, rincuorato. Per non dire del bene che ha fatto anche a me.
Il cielo si è fatto azzurro, l’aria più leggera.
Martedì. Che ci sarà martedì, di diverso, in quell’agenzia?
Una persona migliore di Pinca Palla nel loculo dei mutui?
Una festa per i clienti in difficoltà, con palloncini e panettone di tramezzini, uno striscione che pende dal soffitto che dice: “Coraggio, ragazzi, passerà”?
Avrei abbracciato quell’impiegato, veramente.
Perché mi ha ricordato che domani c’è un martedì.
Per questo volevo raccontarvelo subito, ricordare immediatamente a chi in questo momento è preoccupato: c’è qualcosa che ci aspetta di migliore, gente più bella, speranza e soluzione. Per forza.
C’è sempre un Martedì.