difficile è essere autunno, facile essere primavera (ovvero i professionisti del si stava meglio quando si stava peggio)

E’ vero che tutto è soggettivo, ma c’è una cosa che mi irritava quando ero piccola, mi ha continuato ad irritare da ragazzina, da ragazza, da giovane e posso dire che pur essendo ormai una donna che ha iniziato la sua corsa contro i radicali liberi, mi trovo fiera di trovare irritante ancora oggi, della soggettività:

 

Ah, quanto era meglio prima.

Ah. Com’è tutto cambiato (in peggio).

Un paio di settimane fa una persona che ha fatto il bello e il cattivo tempo di questo Paese tra scandali e narcisismo e che era alla presentazione del libro di Nino fa un discorso tipo:

“Roma è diventata uno schifo, ai miei tempi sì che ci si divertiva, sì che c’erano posti in cui andare! Ora non c’è un posto dove vedersi con gente simpatica. E poi la gente è più brutta, più cafona, più distratta. Ai miei tempi che ci si divertiva.”

Sarà che personalmente – sarà ormai chiaro – ho la tendenza a sentirmi proiettata nel futuro non tanto come persona ( il tempo personale pure fosse di cent’anni, è pochetto e ancora non sono riusciti a inventare uno straccio di corpo immortale) ma più che altro come “umanità”, sarà che mi piace tanto la memoria solo come lunghezza da cui prendere la rincorsa per costruire un futuro meraviglioso, ma il mio pensiero quando sento questo genere di discorsi è:

“Ma sarai te che non c’hai posti dove andare e c’avrai te amici avvizziti che non c’hanno niente da dire o non sanno più divertirsi”.

Le sento o leggo in giro ogni giorno queste affermazioni da latte alle ginocchia, e quelle sono sì, deprimenti. Un conto è la malinconia per il proprio tempo personale che passa, ma il giudizio da vecchio zio novantenne che sbraita contro i capelloni, no.

E’ abbastanza evidente una delle ragioni per cui le persone dicono o scrivono cose tipo: “Sono tornato in quel locale…oh, mio dio. Non c’erano i ragazzi che ricordavo io, quelli di oggi sono tristi, mangiano cose schifose, ascoltano musica schifosa, sono decaduti. ” è semplicemente invidia, l’incapacità di leggere nuovi linguaggi, il fatto di essere naturalmente esclusi.

L’altro must è invece di tipo consolatorio, muoiasansonecontuttifilisteismo: “Il mondo va a rotoli. Secondo me, fra poco finirà”. Sospetto che nella passione per le previsioni catastrofiste da fine del mondo che serpeggiano da che esiste l’uomo pensante, si annidi una forte speranza: il mondo morirà con me.

E’ dai tempi dei greci e dei latini che ogni generazione invecchiante ha sfogato la malinconia dell’invecchiare con il consolatorio pensiero che quando erano giovani loro sì che si stava bene, che se la sapevano spassare e/o siamo comunque prossimi alla fine.

Allora:

TU, TU eri giovane e te la sapevi spassare, TU davi a quel posto, a quel momento del tramonto, a quel sapore o quell’odore un senso fantasmagorico per la semplice ragione che in quel momento eri tutto collagene e ormoni, il mondo era in mano tua e pensavi che gli avresti spaccato il culo.

Questo rende infelice l’invecchiamento: l’aver sempre pensato che la parola “Futuro” significasse il “TUO” futuro.

E’ ovvio che poi sei triste, non sei più curioso, non ti fa spazio dentro l’allegria di capire come sia cambiato un posto, una città, la moda, i gusti e anche dirsi quant’è bello aver assistito a tutti questi cambiamenti, provando ogni tanto a osservare  e basta, senza cercare di mettere voti o stellette a cose, tendenze e persone.

Mio padre faceva parte della generazione dei capelloni invisi alla generazione precedente che ricordava gli anni trenta e quaranta come il periodo più bello della storia – e sì che c’era la guerra –  mia nonna raccontava di sua madre che trovava infernali e inaccettabili la luce elettrica e l’automobile.

La paura del progresso forse è solo rabbia per l’inconscio pensiero di dover passare un giorno la mano, che invece il mondo andrà avanti qualche miliardata d’anni senza di te,  che quelli belli, forti, con la risata contagiosa e i discorsi carismatici oggi sono altri, e che quando quelli c’avranno l’età tua sarà il 2060.

D’altronde come diceva de Montaigne la vecchiaia fa più rughe nello spirito che sulla faccia.

Per dire, chi allora era giovane e con la testa piena di sogni,  potrà MAI affermare in tutta franchezza quanto fossero meglio i capellini cotonati degli Alphaville?

La nostalgia dovrebbe essere dolce, non amara, e soprattutto per chi ha figli, diventa dolcissima se si pensa che si stanno costruendo ora per lui locali che troverà fichissimi, città da visitare che troverà bellissime, nottate che saranno indimenticabili perché saranno sue e solo sue, quali che saranno la situazione, la politica, lo stato del mondo, rassegnatevi: costruirà comunque ricordi che a distanza di anni gli saranno cari. D’altronde: “anche di queste pene caro sarà un giorno il ricordo” disse un tizio.

E’ facile essere felici e trovare tutto bello quando si hanno vent’anni, che hai seminato bene lo dimostri quando sei proiettato avanti e non ti sei fatto fottere dall’amarezza anche quando ne avrai sessanta, settanta, ottanta, novanta o centoventi.  Magari quello sì, con dei capelli meno ridicoli.

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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