Alle volte ti senti a disagio, vivendo in quest’epoca e soprattutto se vivi in un certo ambiente e in una città come Roma.
Magari ti ci senti segretamente e a prescindere leggendo riviste, interviste, libri, o se capiti davanti alla tv, persino se sei dal parrucchiere o seduto ad un bar oppure – situazione perfetta –in un locale fighetto. Però nessuno ti coinvolge, tu il tuo segreto te lo tieni per te, stai lì in silenzio, non partecipi alla chiacchiera (dal parrucchiere o al bar o nel locale fighetto, che per livello di conversazione si equiparano).
Peggio è quando sei ad una festa, un consesso di individui che si ripropongono ogni volta che metti il naso fuori di casa per intrattenerti, dato che per l’appunto in base al lavoro che fai e alla rete di Indra delle tue conoscenze, finisci per pensare di vivere in un paesino arroccato sulle montagne e irraggiungibile se non via mulo, dato che su milioni di abitanti incontri sempre non più delle stesse trecento persone.
Lì nascondere il tuo segreto diventa complicato:
sei una persona riservata.
Spesso ti senti inadeguato anche nel mondo virtuale, nei social network, in una cosa come l’avere un blog, sai che ci si aspetta che si sia più spudorati, si offrano elementi più intimi, che si parli delle proprie funzioni corporali, di come si fa sesso, si raccontino particolari teoricamente imbarazzanti di sé e del proprio passato…
Il punto non è, come è normale nelle relazioni quotidiane fuggevoli e di svago, il raccontare una cosa buffa, d’un figlio e come va a scuola, un viaggio che hai appena fatto, una cosa piacevole di lavoro, etc. No.
Si cerca di stupire.
Possibilmente appunto sesso ma almeno parlando d’ammucchiata; il funzionamento del proprio intestino; di come s’è curata la candida e quelle maledette che te l’attaccano (…); assorbenti: quale? “vado in bagno devo cambiarlo, sono un lago”; masturbazione (argomento gettonatissimo da ogni genere sessuale); una ragazza con cui si è andati a letto che poi ha abortito.
(stralci veri di conversazioni reali raccolte solo nell’ultimo anno, possibilmente con un cocktail in mano).
Non è un dicorso beghino, non è che mi scandalizzi, anzi. Il politicamente scorretto è l’unica cosa che mi faccia veramente ridere.
Ma, al di là del fatto che non sento lo stesso irrefrenabile bisogno a confessarmi perennemente né ho la stessa dimestichezza con i cavolacci miei, c’è anche che sono conversazioni non volgari o scandalose ma a volte noiose, a volte – soprattutto dopo mangiato – gratuite, quasi sempre ridicole. Si ha troppo raramente l’uso di guardarsi dal di fuori, magari pensandosi in un film di Woody Allen.
La spudoratezza e la perenne confessione, che vengono ancora visti come gli elementi fondamentali della “trasgressione” (trasgredire dovrebbe essere violare le norme della maggioranza) in realtà sono ormai la forma d’espressione normale, a livello del Sistema sicuramente è quella ritenuta più notiziabile e commerciabile, un po’ come la liberazione sessuale diventata presto oggetto di manovra del potere e quindi una moda e un imperativo, violato il quale sei fuori e per il Sistema meno controllabile.
Oggi se non metti in scena te stesso in maniera totale e se non alzi il tiro come a battere il record del precedente scattista in termini di spudoratezza, a livello commerciale non sei vendibile, a livello personale nella tua vita di tutti i giorni se non sei in linea con l’imperativo pensi d’essere sfigato; d’altronde chi si affanna a rispondere all’imperativo considera chi non si allinea un po’ antico, un po’ nerd.
Insomma devi vivere esponendoti e raccontandoti continuamente – raccontandoti in termini pruriginosi e proponendoti una tacca più “strano” del tuo vicino – per narcisismo indotto, perché ritieni che sia necessario per essere accettati dalla società, per essere al passo con i tempi. Fino al punto di non rendersi conto che tutto questo, dal confessionale alla ricerca dell’abbigliamento strano, dal nudo finto-casuale all’imbutino in testa, è diventato il nostro provincialismo.
Intendiamoci: c’è chi ha espresso così la sua vita perché in quel momento storico era davvero l’unico modo originale per essere “contro”. Ci sono stati e ci sono artisti, scrittori, cineasti, che con le loro scelte di vita, comportamento o linguaggio hanno fatto scandalo per affermare un’idea di libertà, il diritto a un pensiero diverso.
Ma così come dalla lattina di pomodoro di Andy Warhol tutti hanno pensato che basti prendere una confezione finita di latte per fare arte, nel gioco di ruolo della società quello del “trasgressivo/sfrontato” è diventato un personaggio non eccezionale ma normale, e spesso un po’ macchiettistico.
Nel quotidiano ti accorgi che la gente non vede l’ora di raccontarti i cavoli suoi, assume l’espressione di sfida se pronuncia parole che pensa essere –ancora? – pornografiche ma che ormai rimbalzano anche sulle bocche dei bambini della scuola media quando si insultano per una palla non passata durante la partitella in cortile.
Allora tu che sei diverso a volte ti senti un po’ alieno.
Ti rendi conto anche che persino persone che stimi esagerano in narrazioni di sé, percezione di sé e della propria vita intima al limite dell’abuso ideologico (qualche giorno fa citavo ad un’amica una frase che mi ha colpito da ragazzina: si dovrebbe evitare l’abuso ideologico di se stessi).
La discrezione e la riservatezza sono espressione della consapevolezza di questo abuso ideologico: ma davvero ritieni che la tua vita con tutti i suoi segreti anfratti sia poi così interessante? O meglio che hai bisogno di alzare il tiro della confessione per risultare più interessante degli altri? La tua identità deve passare necessariamente per la dovizia di particolari con cui tenti di raccontarti strano, strambo, diverso, o, espressione che mi fa impazzire: “una persona particolare”?
Forse per questo ho moltissime conoscenze ma pochi amici, a volte si sfoltiscono pure per selezione naturale sulla base di questo necessarissimo punto in comune, mancando il quale si finisce per non avere più i presupposti per aver voglia di frequentarsi.
Il dialogo dovrebbe essere sui pensieri, commentare il mondo, raccontarsi sogni o progetti, si costruiscono cose insieme, ci si preoccupa di come stia l’altro, si ha voglia di scambio.
Il discreto/riservato non si trova facilmente a suo agio in un mondo la cui maggioranza di individui si mette in posa, si espone come si fosse perennemente in una terapia di gruppo, cerca la frase ad effetto, scimmiotta artisti o scrittori che hanno fatto del proprio essere naturalmente nudi una vita e un mestiere ma che, quando si tratta di gente che non ha fatto un calcolo commerciale sul proprio “personaggio”, nel loro quotidiano spesso sono persone persino timide.
Anche la vita virtuale, il social network, è interessante in questo senso. Mi sono accorta ultimamente, per esempio quando arriva una richiesta di contatto, che c’è gente che nella voce “chi sono” o “su di me” che sia, scrive slappe di roba: io qua… io là… Autopresentazioni in cui ti rendi conto di quanto si insista sul proprio bisogno di raccontarsi strani, trasgressivi, matti, pazzi.
O ti si presentano per mail “sono una persona un po’ particolare, sono una persona strana”… una ci si è offesa, qualche giorno fa, perché le ho risposto “veramente non mi sembri così particolare o strana”, intendendo in questo un complimento.
Il discreto/riservato si ritrova in alcuni consessi in cui, per la sua paradossale indole, per l’ossessione a non voler disturbare e non voler peccare di protagonismo, è quasi portato a tentare di adeguarsi:
“Ehilà! Salve a tutti! Ho il ciclo!” potrebbe dire. O provare a raccontare un proprio trauma infantile particolarmente strambo e colorito. Anche spiattellare una propria passione sessuale potrebbe farlo entrare d’emblée nel gruppo.
Ma il cane che si morde la coda lo frega:
– Egli è discreto, è riservato, quindi la sua prima domanda fondamentale è “ma a chi frega” la seconda “in fondo sono cavoli miei e non mi va di parlarne”.
– Allo stesso tempo egli ha talmente rispetto degli altri che teme di disturbare con il suo silenzio o con discorsi non umorali (nel senso biologico) o non personalissimi. Vorrebbe essere gentile e quindi adeguarsi. Ma si ritrova al punto “uno” ancor prima di aprire bocca.
E’ un dilemma che provoca spesso un piccolo transitorio senso di solitudine, dato che se egli prova ad intavolare una conversazione qualunque, dagli sguardi dei presenti comprende che quella sì è ritenuta poco interessante per la norma vigente, per cui si mette da una parte ed evita.
Considerando che un comportamento generalizzato diventa di regola normalità, l’homo riservatus si scopre improvvisamente come il nuovo trasgressivo; in quanto tale e per essere coerente con la sua scelta di vita trasgressiva e socialmente inaccettabile non può far altro che tenere segreto questo suo impopolare e scandaloso vizietto.