“ma secondo te, si capisce?”(cio’ che puo’ succedere per un po’ di segale cornuta)

Chi fa cinema usa spesso l’espressione:

 

questo se lo metto in un film, non ci crede nessuno.

Oggi ho letto una cosa apparentemente assurda che mi ha fatto ripetere il leitmotiv di cui sopra. Parlo della scena della messa in una chiesa di Campobasso durante la quale per un’ostia impastata con un batterio sviluppato dalla segale cornuta, (creando perciò una combinazione chimica che sta alla base dell’Lsd) il povero prete si è ritrovato con una massa di gente che urlava, vedeva il demonio, abbracciava i crocifisso, inseguiva il prete stesso dicendo che era il diavolo.

Ora, cosa avremmo fatto pur di assistere a codesta scena?

La seconda espressione, subito a seguire quella di cui sopra, spesso utilizzata dallo sceneggiatore e/o regista (italiano) è:

sì ma tanto non ce lo farebbero mettere a meno di non rovinarlo.

Ed ecco la riflessione di questo post-ino: è vero che una delle cose più stancanti di questo mestiere sono quei referenti con cui devi rapportarti, da produttori a finanziatori diretti e indiretti, che non sanno esprimere altro che:

ma secondo te, si capisce?

ma questa cosa, come è possibile?

ma secondo te è credibile?

 

Non sarà un po’ troppo? (….)

 

Quindi ti succede di limitare costantemente l’uso dell’attrezzo base su cui si fonda il lavoro del fare cinema (scriverlo, dirigerlo, fotografarlo, etc): la fantasia.

In teoria chi scrive, dovrebbe andare oltre cio’ che sembra plausibile, perché la nostra vita umana è tutto tranne che “verosimile”. Le etichette di pseudo verosomiglianza che l’essere umano si crea nascono da valutazioni statistiche, ergo cose che accadono spesso, cose che si ripetono, normalità. Ma quello che rende la vita davvero interessante e degna di essere raccontata, è l’eccezionalità.

Eppure, almeno in Italia, abbiamo del tutto perso la capacità di pensare l’inverosimile, rappresentare le cose, non ri-presentarle, che a quello ci pensano la televisione, il documentario, il giornalismo, ma rappresentarle. La metafora, l’invenzione, o anche spingere la mente ad osare in quelle zone dell’immaginario che frequentiamo da bambini.

D’altronde, sembrerebbe più plausibile l’esistenza degli unicorni che non alcune scene cui abbiamo assistito nella nostra politica negli ultimi venti anni.

Noi no. Noi ci siamo dovuti autocensurare e ghettizzarci in zone grige e didascaliche, in cui ci raccontiamo che il vero non è verosimile e quindi tutto cio’ che raccontiamo e scriviamo deve stare dentro strutture che definiscono credibili e che invece appunto, sono semplicemente didascaliche.

Ieri sera io e mì marito abbiamo provato a vedere due dvd (ci hanno regalato molti dvd per il matrimonio) di film italiani che abbiamo – forse volutamente? – perso al cinema.

Uno l’abbiamo interrotto al ventesimo minuto, sull’altro c’ho dormito. Nota bene, due commedie che sono state ritenute esilaranti da chi le ha finanziate.  Una è andata bene, l’altra non tanto. Ma chi le ha finanziate sta lì tutto gongolone a parlarne come di capolavori della commedia.

Si dice il peccato non il peccatore, e non mi piace parlar male dei colleghi, anche perché in questo caso lo sai, immagini bene i dialoghi che avranno avuto con il funzionario di turno e che ha portato a tanta desolazione:

“Ma qua non si capisce”

“Ma questo come si spiega?”

“Ma faglielo dire, no, che lui non ama più lei?” (come se una scena in cui ne strappa le foto non fosse abbastanza).

“Dai, così non è credibile. E’ troppo grottesco”. (come se, anche fosse grottesco, non sarebbe una meravigliosa conquista di genere. Da noi grottesco è diventato un insulto).

Ci troviamo davanti a queste sceneggiature in cui pedissequamente e come se il pubblico fosse tutto cretino ti dicono già dai titoli di testa cose tipo “Oh vedi, sono stato licenziato, mannaggia! E ora come farò?” , poi incontra la mamma “Ma ti hanno licenziato e tu hai due bambini, come farai?” e lui poi va a cercare lavoro e dice “Siccome sa, io ho due bambini e quindi devo lavorare…” e magari con una triste gag di lui che inciampa nel tappetino all’ingresso finendo con le  mani sulle tette di una, a dire che sì, è un disoccupato ma siamo in una commedia. Togli caduta- tappetino- con- mani- su- tette, e lo stesso soggetto identico con gli stessi dialoghi funge da versione drammatica /autoriale.

Questo triste piattume non è colpa di chi scrive e gira se non nella misura in cui finiamo per arrenderci.

Perché appunto se tu portassi una sceneggiatura a certa gente, peggio se sei al tuo primo film (perciò ti devi pure cuccare la saccenza del “tu sei giovane, io ho visto nascere duecento film, lo saprò meglio io, nooo?” ) e la suddetta scenggiatura prevedesse  la scena inventata di un’intera parrocchia di gente impazzita, magari come momento culminante della crisi di fede d’un giovane prete, probabilmente ti troveresti come prima cosa a combattere con domande tipo:

– Ma andrà in prima serata, una cosa in cui c’è gente impazzita in una chiesa?

– Ma non sarà offensiva una scena con gente che insegue un prete chiamandolo demonio?

Non passerebbe mai, se non perché tu trovassi che sì, potrebbe accadere, per via di un certo batterio sviluppato dalla segale cornuta.

Ma non è più triste che ci sia una spiegazione a tutto?

Un tempo, senza la scienza, non ci sarebbe stata alcuna spiegazione, e la storia di quella giornata si sarebbe ammantata di leggenda.

Comunque. Tu, se trovassi studiando qua e là questa possibilità scientifica di un’intera collettività che impazzisce per via della ormai celebre segale, ti ritroveresti a rovinare tutto perchè costretto a scrivere una scena in cui un panettiere impasta le ostie e dice al garzone: “Uh facciamo attenzione, quella è segale cornuta e a volte produce un batterio che è simile alla base dell’Lsd”.

Oppure un commissario con il trench che lo dice dopo:

“Ah, ecco perché essi sono del tutto impazziti: come vedi queste ostie sono state contaminate da un batterio che è alla base dell’Lsd, il che spiega perché improvvisamente sono del tutto andati fuori di senno”.

Non è esilarante quanto la visione inspiegabile di una collettività di vecchine e gente di ogni età che corre nuda o urlante in una chiesa…

A volte guardo certe commedie inglesi, o persino alcune serie televisive estere, che ti fanno venire le rughe dal ridere, e la base assoluta di ciò che ci fa più ridere è il non sense. Ci ritroviamo spesso a ridere e borbottare ridendo “ma non ha alcun senso!”.

Nel “Motto di spirito” Freud richiamava, tra le altre ragioni della comicità, questo fattore: la deflagrazione di ciò che nel nostro cervello ha assunto un senso ordinato.  Il caos delle cose che pensiamo di aver assunto essere in un certo modo, ci fa ridere.

Allo stesso tempo, appunto, sia nella sua accezione comica come anche in quella drammatica, cio’ che la vita ha di fantastico è che ci stupisce sempre. Che accadono cose che non avremmo mai potuto immaginare: la gente a volte si veste in modi, parla in modi, reagisce in modi che non sono in alcun modo classificabili. Chi scrive film, o libri, è solitamente un buon osservatore; se è bravo  quello che incamera della vita è l’imprevedibile. Ed è capace di inventare nuove e apparentemente insensate imprevedibilità.

Peccato poi che quando cerca di raccontarlo si ritrova davanti a dei:

“E perché si veste così? Dovresti spiegarlo, magari mettiamoci una mamma sarta un po’ pazza in un flasback.” oppure dei:

-Si capirà?

-Non è spiegato.

-Non è chiaro.

Forse per ritrovare la fantasia nelle nostre storie, dovremo convincere chi le legge per finanziarle che si potrebbero distribuire degli opuscoli in sala.

Libretti per le istruzioni, insomma. Mappe per non lasciarsi andare all’eccezionalità della vita.

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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