Il mio strano folle matrimonio(ovvero chiunque si ami ha diritto di giurarlo davanti a tutti)

Mi sono sposata.

Coniugata.

Maritata.

“Ho detto sì”

Abbiamo fatto tutto con una tale discrezione io e mio marito (mi fa ancora strano chiamarlo così) che molti hanno colto la notizia con sorpresa.

Dunque, sposarsi soprattutto quando non sei proprio ventenne e dopo che per una vita magari hai evitato di farlo, è un’esperienza veramente forte.

La prima cosa buffa, se oggi come oggi dici ai tuoi amici e parenti che ti sposi, sono due domande ricorrenti:

  1. Perché?

  2. Sei incinta?

Una più inquietante dell’altra.

“Perché?”

Perché ci si sposa? La risposta più giusta l’ha data Lorenzo:

“Perché ci rendiamo felici”.

Il fatto dello sposarsi perchè inguaiate rimanda invece a un’arcaica mentalità popolare, sposarsi perchè si è incinti è la scelta che in realtà dovrebbe far domandare “E perché?”.

Tanto, in fondo, avere un figlio con qualcuno è la cosa che più al mondo ti leghi a una persona, perché volente o nolente, pur in un qualunque e pur fantasioso ruolo, quella persona te la cucchi per la vita: sarà per sempre il padre o la madre di tuo figlio.

Ci sono persone con più figli insieme che mi hanno detto: “Ci domandavamo: ma perché vi siete sposati?”

Nessuno chiederebbe mai a qualcuno “E perché avete fatto un figlio e mo’ ve tocca di avere a che fare l’uno con l’altra per sempre, e comunque lasciarvi eventualmente sarà quell’inferno di psicologi, fine settimana uno tu uno io, etc?”

Sposarsi, cosa che ho capito quando Lorenzo me l’ha chiesto e io ho risposto senza indugio “sì”, significava, almeno per noi “Senti, io ti amo talmente tanto che ho voglia di regalare un po’ di questa allegria a quelli a cui vogliamo bene, voglio festeggiare, voglio esorcizzare crisi, paure, tristezza, festeggiando e voglio giurarti amore davanti a tutti”.

Mi sono battuta e mi batto parecchio per il riconoscimento dei diritti all’interno di una coppia, quale essa sia (uomo donna, donna donna, uomo uomo, ornitorinco tricheco etc) di persone che si amano e decidono di stabilire con un patto “Ok, io e te siamo una famiglia, e voglio prendermi cura di te per sempre” che è poi la base del matrimonio civile.

My husband and I ci siamo detti, anche per questo: bene, noi che possiamo farlo, ci sposiamo. Noi che vogliamo che la legge riconosca questo diritto di stare insieme, di decidere per l’altro se l’altro non è in grado, e vogliamo prenderci anche il dovere di un impegno, intanto usiamo la legge che c’è.

Poi è vero che si sono più divorzi che matrimoni, nel mondo, ma è ovvio che quando uno si dice voglio stare con te per sempre, sente quanto profondo sia quel “sempre” ipotetico che magari sta pronunciando in un momento di romanticismo. Diventa qualcosa di concreto soprattutto quando ti rendi conto che lo pensi anche quando dell’altro conosci pure i difetti e ti rendi conto che non tolgono nulla alla felicità che l’altro ti da’.

Nel momento in cui abbiamo deciso, ci siamo detti:

“Però si va, si mette una firma io, tu e la trentina di persone più vicine”.

Poi ti accorgi che solo a pensare le persone più “vicine” arrivi a 200. Evidentemente non siamo due persone tanto sole…

Man mano che vai avanti ti rendi conto che effettivamente sposarsi è diventato un gesto controtendenza, e ancor di più lo è progettare di fare tutto come da programma: cerimonia, pranzo, torta, festa.

Ti guardi intorno e scopri che ormai chi si sposa si sente anche un filino in colpa o “out” e quindi deve necessariamente “farlo strano”.

Matrimoni su torri, spiagge, in tenuta cowboy, in una finta navicella spaziale, mangiando seduti per terra (con vecchie zie artitriche disperate…) attaccati a una liana vestiti da Tarzan e Jane, o chiedendo a tutti gli ospiti di vestirsi da personaggi di Alice nel Paese delle Meraviglie.

Appunto: sì, mi sposo ma non è proprio matrimonio, eh? Perché è da vecchi o da borghesi fare cerimonia – pranzo – torta – festa, io voglio essere ribelle e trendy, dunque devo inventarmi qualcosa che sia matrimonio ma in qualche modo matrimonio non è.

Considerando questo, siccome mi piace chiamare le cose con il loro nome e grazie ad una famiglia super efficiente (e affettuosa) che non finirò mai di ringraziare,  abbiamo fatto il classico cerimonia, pranzo, torta e poi i nostri amici ci hanno organizzato una festa bellissima al Kino, al Pigneto.

Una giornatona di festeggiamenti classici dalle partecipazioni ai sacchetti dei confetti. Insomma classico, nel senso che oggi ha assunto questo termine: low profile.

Però gli dèi lassù hanno deciso che qualcosa di strano ci doveva pur essere in questo matrimonio tra artisti, dunque cosa accade?

Abbiamo deciso la data quando siamo andati a fare i documenti dicendoci “Ma sì sposiamoci subito, tanto d’inverno a Roma, al più fa un po’ freddo.

Al più piove”…

La data, dunque, era l’11 febbraio, a Roma:

 

Quando una settimana prima della data ci siamo ritrovati a preparativi fatti davanti alla peggiore ondata di maltempo degli ultimi 80 anni, e il 4 febbraio Roma sembrava Helsinki, ci siamo guardati come i personaggi di un film di Jerry Lewis: prima tra noi e poi in camera.

Il vestito che mi ha disegnato e realizzato una delle mie più care amiche e mia costumista (quando lavoro) era di seta, con un cappottino leggero in lana. Tutta vaporosa, ma non proprio un cappottone da neve, insomma. Scarpine da tango rosse con tacco, anche.

E quindi la polmonite post sponsali l’ho messa in conto da subito, che certo non era il caso di rifare tutto a una settimana dall’evento.

Ma dato che in una città non abituata a ben 30cm di neve come è Roma, era diventato pure un problema spostarsi da un punto A a un punto B, la preoccupazione che gli invitati potessero arrivare vivi dal punto A al punto B e dal punto B a quello C, è stata spasmodica.

Sono stata tutta la settimana attaccata al servizio meteo dell’Areonautica Militare peggio che prima di iniziare le riprese di un film – il grande classico: devo girare in esterni, giornata prevista da sceneggiatura sole che spacca le pietre, previsioni: piove – ed esattamente come prima di un film, a fronte di un tumulto interiore feroce ho messo su la faccetta zen d’ordinanza.

Alternavo degli “andrà tutto benissimo, lo so” a momenti in cui mi guardavo negli occhi, allo specchio, tipo killer e  borbottavo contro gli dèi per avermi messo ancora una volta in una situazione complicata, situazione più da scherzo cretino che da tragedia greca con uno che entra in scena con gli occhi cavati e urlando, però certo…si poteva evitare.

Dunque mi aspettava un matrimonio comunque strano.

La frase più ricorrente infatti è stata “Ce lo ricorderemo tutta la vita – e quando ricapita, un matrimonio a Roma sotto tutta questa neve?”.

Alternata con pacche sulle spalle e “Certo, tu sei finlandese, ti sei portata dietro il nord”.

Sono anche siciliana: una improvvisa esplosione di fichidindia ovunque, non sarebbe stato più comodo?

Comunque, ero talmente presa dal problema meteorologico, sia per ragioni egoistiche che la preoccupazione per tutto ciò che questo stava causando a tanta povera gente con ben altri problemi in varie parti d’Italia, che sono arrivata a venerdì 10 parlando come Giuliacci: “Dunque è prevista diminuzione di bassa pressione, nevicate intense a partire dalle 18:00 di venerdì, che diverranno neve mista a pioggia nella serata. Temperature: minima -1, massima 2. Sabato mattina invece, dalle 6:00 alle 8:00 ancora neve debole e sole o poco coperto fino alle 12. Alle 13:00 sole. Dalle 14:00 alle 16:00 neve intensa. Schiarite dalle 16 alle 19:00. Pioggia debole. Poco nuvoloso, la notte. Temperature: minima 0 massima 4”.

Sabato mattina ho aperto le finestre – da sola in casa, per rispetto della tradizione – e ho visto il sole! E certo, tra le 8:00 e le 12:00. Ho detto “bene, come previsto” e fatto colazione, passando sulla grande mappa climatica spalmata sul pavimento di casa, sbirciando i post it ovunque, osservando le immagini dal satellite sullo schermo del computer.

Poi sono arrivate le mie amiche per aiutarmi a vestirmi e vedere di dare un senso a una faccetta che seppur zen usciva da tre notti insonni (di notte i meteorologhi di professione come me devono osservare il cielo per contare le nuvole che passano), ci hanno raggiunto mia sorella e mia nipote, arrivate 48 ore prima dalla Finlandia – dove sì che ce n’è di freddo e neve ma di certo sono più organizzati – e abbiamo cominciato a giocare alle signore tra vestiti, trucco e parrucco. Mentre Nina mi truccava, improvvisamente quando mia sorella ha detto “Le fedi, le prendo io?” alla parola “Fedi” ho realizzato:

MA IO STO ANDANDO A SPOSARMI!

A quel punto entri in un limbo strano. Non è proprio panico, no. Qualcosa di simile, una cosa tipo gli esami, oppure, nella mia memoria, la prima volta che sei sul tuo primo set e tutti ti guardano come a dire “Embeh? Con che si comincia?”.

Pensi a lui e intanto trovi demenziale questa tradizione per cui non ci si deve vedere dalla sera prima perché ritieni che solo lui potrebbe tranquillizzarti in questo momento (poi scopri che stava peggio di te) pensi a quello che sta per accadere e, giuro, a me è passata la vita davanti.

Tanto che ho avuto la prima manifestazione di vera ipocondria della mia vita. Ho pensato che stavo morendo: non mi sentivo più le mani, mi formicolava la testa, mi batteva il cuore.

Poi, una volta tutta pronta, mi sono guardata allo specchio e ho detto:

“E quella chi è?”.

Sali in macchina, dopo aver inzuppato le scarpe nella neve e subìto le battute dell’autista (“Eh sarà indimenticabile, che matrimonio strano, eh?”) sei lì con tua sorella e la tua nipotina più emozionata di te e ti passano davanti i singoli giorni con l’uomo che stai per sposare.

Scoprire quanto lo ami può avere due possibili reazioni:

a) beh, meno male, e quindi ora on y va, è tutto a posto.

b) è troppo per me, non sono all’altezza, e se poi non ce la faccio?

Bizzarro, a me è scattata la reazione B.

Sarà che sono patologicamente fissata con la parola data, l’impegno, ma di fatto.

B.

Lo dico a mia sorella in una specie di monologo folle mentre fuori scorrevano le immagini di Roma coperta di neve, per tutta risposta la mia nipotina mi dice: “Ma sei bellissima” stringendo il mio bouquet di peperoncini tra le mani, mia sorella mi dice alcune cose che solo noi possiamo capire e mi torna la faccetta zen. Truccata, ma zen.

Si arriva lì, alla chiesetta sconsacrata in cui si sarebbe svolta la cerimonia.

Penso per un attimo a mio padre e quanto mi manchi, a tutti gli amici che vedo scorrere verso la chiesa a piedi mentre arriva l’auto, penso al principio per cui questa idea ci aveva reso tanto felici e mi dico:

Comunque vada sarà un successo.

Lorenzo mi viene a prendere alla macchina, il quel momento mi rendo conto che tra le altre cose è l’uomo più bello del mondo e ci sussurriamo cose che fa troppo melenso riportare in dialogo e andiamo, sottobraccio, incontro alla folla delle persone che amiamo, allegre, contente, festeggianti, e incontro al resto di questa avventura che siamo noi due.

E devo rassegnarmi, sarà un matrimonio indimenticabile e strano: una pioggia di grossissimi fiocchi di neve ci accompagna per tutto il pranzo, e poi il sole al taglio della torta.

Come previsto: sole, alle 16:00 in punto.

Pubblicato da anneriittaciccone

osservatrice conto terzi

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