Le vicende di questi giorni legate ai “figli di” (magistrati, politici, gente piazzata insomma) mi hanno fatto venire in mente un principio in cui credo abbastanza e che Cristina Comencini cita in un suo spettacolo, che dice più o meno: “Padre ricco figlio stupido, figlio stupido diventa povero, padre povero figlio intelligente, figlio intelligente diventa ricco” e via così.
Nel senso: ritengo che niente aguzzi il QI quanto la necessità, niente può rendere ottusi e arroganti quanto crescere con pochi – o senza – ostacoli. Credo nel principio per cui un certo numero di ostacoli non faccia altro che allenare le nostre potenzialità, tirar fuori capacità e risorse. Certo se il karma evita l’accanimento magari è meglio.
Comunque, vero è anche che non è giusto il razzismo al contrario: non è che un figlio che prosegua il mestiere del padre sia incapace a priori. A volte, soprattutto in certi mestieri, l’essere cresciuti respirando quel dato mestiere ti da’ l’occasione per essere privilegiato nella sua conoscenza. Questo purtroppo può essere vero in paesi diversi dall’Italia dove invece la parola privilegio corrisponde sempre a scorciatoia/scappatoia.
Sono forse una delle poche persone che non vede come orrenda l’affermazione di Bill Gates che dice che lascerà “solo” un milione di dollari a testa ai figli: mi pare una base più che ottima con cui chiunque costruirebbe una propria, meritata fortuna.
Quel che davvero intristisce e scandalizza è quando, appunto in Italia, ti rendi conto che persone che hanno una carriera e una posizione economica invidiabili diventino genitori mollaccioni che invece di amare davvero i propri figli, li rendono degli ebeti incapaci di autocritica, di mentalità aperta e un po’ di sana voglia di dimostrare il proprio valore in competizione corretta, principi che stanno alla base di una vita davvero vincente. Qualunque cosa si ottenga misurandosi con possibili delusioni, ostacoli e capacità di superare le une e gli altri, ha certo più valore che portare avanti una carriera fasulla scritta a tavolino da amici e parenti di papà o di mammà.
Amare davvero il proprio figlio credo significhi non correre a ogni piè sospinto vedendolo cadere o non averla vinta in una discussione con coetanei, non sei un padre/madre amorevole se dici a tuo figlio/figlia che è il più bello e bravo del mondo, risolvendogli ogni problema o applicando indulgenza se da sé non è buono a fare niente.
È abbastanza deprimente e devo dire vergognoso leggere ovunque dei Martone di turno, (alla fine è solo un simbolo di tutto questo).
Personalmente, avendo avuto genitori che hanno fatto scelte diverse, ma che di certo non mi hanno fatto mai mancare l’equilibrio tra incoraggiamento e poca indulgenza nello spronarmi, mi sono vista spesso affiancare dalla scuola fino all’esercizio del mio lavoro, per non parlare della vita privata, da gente che correva avanti senza merito; mi è capitato di sentir dire “Eh ma il mondo funziona così” da figli che non esitano ad ammettere d’essere “spalleggiati”dal potere e/o dai soldi dei genitori, non aver nessuna considerazione per la scorrettezza del vantaggio immeritato; mi è capitato persino in situazioni di vita privata di sentirmi dire “Io che c’ho il padre così, la famiglia colà” come se il valore di una persona si stabilisse da quel che ha fatto tuo padre e non tu, che magari non hai realizzato nulla, ma che pensi che ci sia una sorta di diritto di casta che ti renda migliore e pensi che ti dia il diritto di insultare la famiglia degli altri, o chiamare pezzente chi si guadagna da vivere e pagare l’affitto con le proprie forze.
A me francamente questa gente ha sempre fatto un po’ pena, certo è che soprattutto adesso, se osservo la generazione successiva, quella cui si nega qualunque cosa e li si carica di tutto il peso di un mondo volutamente trattato senza pensare a chi venisse dopo, questa retorica ed esercizio del “privilegio” dovrebbe essere la prima delle battaglie sociali e culturali che la politica dovrebbe portare avanti. Da un punto di vista morale, sarebbe bello che chi costruisce carriera e futuro, ragionasse invece sul principio di cui sopra: se un padre ricco vuole che suo figlio diventi intelligente, quel figlio deve essere messo nelle condizioni di rimboccarsi le maniche e partire da zero, con le sue sole forze e l’unico privilegio dei principi e della conoscenza che i padri possano trasmettergli. Possibilmente onesti. Davvero non se ne può più e non è giusto.
Chissà se gliela faremo.