Dovresti impegnarti a conservare e tramandare il passato, non viverci dentro, sennò sei un fantasma, un parassita inutile al presente e non servi a niente per quelli del futuro. Sei un parassita egoista che invece di usare la tua vita per farne un esempio per il futuro e piantare semi che siano staffetta per quelli che verranno, sprechi la vita nel non più invece che avere la generosità umana pensando a tutto ciò che non è ancora.
Questa frase l’ho scritta a 22 anni, durante l’Università, e me la sono ritrovata nella memoria e poi andata a cercare su un diario, qualche giorno fa, dopo aver scritto il mio post sul 3D, in seguito all’irritazione dopo una chiacchierata casuale aspettando che iniziasse una riunione, con uno che in dieci minuti ci ha infilato :
non ho il cellulare lo odio
non ho la tv
non mando mail, le odio
non vado più al cinema odio il 3D ma anche il montaggio serrato e la macchina a mano
non mi serve internet io leggo i giornali.
Giuro. Tutto questo con la chiosa: sono un intellettuale.
Ero qualcuno, a 22 anni.
Più che altro mi sono resa conto che, in modo innato, sono sempre stata orientata verso il futuro, con la distinzione tra sviluppo e progresso di cui parlava il citatissimo PPP, ma sicuramente sarà stato per formazione genitoriale anni ’70 o gli Urania con cui mi ha cresciuto papà, ho sempre avuto la netta sensazione di essere una creatura di passaggio in questa storia incredibile che è la storia dell’Umanità. Amare lo spazio infinito e guardare le stelle, come fa il mio amico musicista Giovanni Renzo (che ci ha fatto anche un bellissimo spettacolo che ho visto quest’anno al Planetario di Roma e che se dovesse rifare, vi consiglio vivamente), significa capire anche quanto miracolosi siamo come creature, quanto piccini come singoli, e quindi quanto utili possiamo essere in un cammino che dalle caverne ci ha portato non tanto sulla Luna quanto a poterci vedere e parlare su un coso di metallo sottile mentre io sto qua e l’amica mia in Australia.
L’altra sera ho ripensato dunque a questo fattore (il fattore “odio tutto ciò che non risalga se non tra il V secolo ac e l’invenzione della luce elettrica”) che mi ha sempre irritato e su cui devo quindi approfondire rispetto al mio procedente post, che è la postura dello pseudo intellettuale che ritiene che “bellezza” o “arte” o umanesimo significhino vivere nel passato.
Quella mia frase da 22enne era piena di saggezza, se la ripenso oggi.
Riflettete, dal punto di vista della Storia, che suono hanno queste frasi:
-Ah. Che bei tempi, quando non c’era il telefonino. Ma ti ricordi le cabine telefoniche? Che fascino!
-Ah. Che orrore la medicina, un tempo, coi decotti di foglia di pioppo sì. Altro che penicillina. L’aloe!
-Ah. Che bello quando non c’era la televisione, quando ero piccolo io si stava tutti intorno al fuoco a parlare.
-Ah, quando ero piccolo io, si giocava con la trottola, altro che questi giochi dei bambini qua.
-Ah, che bello quando facevano il bucato a mano con la cenere. Altro che le lavatrici, le lavastoviglie.
-Ah, i libri. Che orrore l’e-book.
-La televisione al plasma? Ma quei bei vecchi televisori con i tastoni, ti ricordi? Che bello, mi alzavo e cambiavo canale e nonno che mi guardava con l’occhio vitreo dalla sua poltrona con il centrino.
Queste frasi riguardano la nostra singola vita. La nostalgia non di un tempo precedente in cui era bello che non ci fosse l’evoluzione di quell’oggetto ma la singola, piccola nostalgia di anni in meno che avevamo personalmente e quindi di quanti anni in più avevamo davanti. Alla fine quello che secondo me irretisce tanto e fa fuggire nel passato pur se con pretesti culturali, intellettuali, morali, è che eravamo piccoli noi, eravamo giovani noi, in quel momento. Il mondo era tutto tuo, il futuro, tuo appannaggio. “E mo’ arrivano questi altri? Che usano linguaggi diversi, ancora in pannolino e capiscono uno schermo touch? Cosa vedrà mai quel pupetto in pannolino, che io non vedrò, e a lui magari farà madeleine un I-phone 4?
Cazzo.”
Questo è il retropensiero inconscio del sessantenne un po’ acido dell’ odio le mail, odio il cellulare perché sai, io sono per la bellezza? Che c’entra “la bellezza”?
Diventi vecchio, in effetti, quando diventi acido con le generazioni future. Perché dentro di te odi ferocemente quei bastardi che vedranno cose che tu non vedrai.
Ma io di persone vittime di questo meccanismo ne vedo di ben più giovani. A volte non arrivano ai quarant’anni, quindi non è una questione d’età, quanto appunto dell’egoismo per cui preferisci dire di appartenere tu stesso a un’epoca migliore, o appunto ci scappi e vivi laggiù inutile a tutti, strano limbo virtuale dal quale snobbi con disprezzo non tanto un presente di cui hai paura, quanto quei bastardi che ci saranno quando tu non ci sarai più, invece di capire che in qualche modo sei sempre tu.
Dunque il non più diventa il pretesto per dire che tutto ciò che c’è oggi fa cagare perché è l’opposto di una non meglio identificata “bellezza” o ancora più surrealmente, opposto di una perduta “morale”e dunque tutto cio’ che verrà, non può che essere peggio.
“Prima” era sempre meglio, vivere nel passato ritenuto il rifugio ad una vita moderna orrenda tout court, di cui odiare ogni progresso tecnologico e scientifico perché ritenuto non frutto del pensiero. (Come se il pensiero cognitivo non facesse parte del genio umano).
In realtà, come dicevo nel mio precedente post, ho sospetto che chi snobba l’I-pad è perché a una prima occhiata ha paura di non capirci un cazzo e lo impigrisca l’idea di mettersi a capire qualcosa di nuovo.
E d’altra parte, che le cose cambino, che i panorami davanti alla finestra si trasformino, non ti fa piacere, non perché pensi veramente al destino dell’umanità, eccitandoti davanti all’idea di tutto quello che non è ancora in questa nostra avventura, ma perché ti chiudi nell’angusto spazio del tuo privato non più.
Sono millenni che conserviamo e tramandiamo per progredire e conoscere la Storia,che è fondamentale per la nostra storia morale, per non ripetere errori ed orrori, per stratificare la storia del nostro genio e del nostro progresso; quello che è vero che dovremmo sforzarci di essere utili, come singoli, perché una società scientifica e tecnologica sappia esaltare bellezza e moralità, farla arrivare a tutti, a più persone possibili, perché di sicuro il passato non era quel luogo zen che si ostinano a immaginare quelli che dicono di viverci. Erano epoche anche più violente e ingiuste socialmente e da un punto di vista civile, quindi dovremmo noi essere quelle generazioni umane capaci di usare tutto il nostro progresso per sintetizzare e mettere insieme tutto quello che abbiamo imparato finora.
Utili per il presente e soprattutto generosi verso quelli che verranno, magari non solo a parole e con posture new age in cui si pensa che basti non usare la lacca e comprare borsette equosolidali per dire che si ama il mondo. Ho grande gratitudine per Alexander Fleming (pur essendo allergica, alla sua penicillina…) , per Robert H. Goddard, Herman Oberth, Konstantin Tsiolkovsky e Wernher von Braun, Galileo Galilei, Newton. Anche per Albert Einstein, ma anche per Philo Farnsworth – pur con l’uso sconsiderato che è stato fatto di loro scoperte o invenzioni – per Steve Jobs, che per me sono stati i compagni di cordata di Socrate, Seneca, Kant, Rilke, Dante, gli scultori greci, Michelangelo, Leonardo, Shakespeare, Mozart, De Chirico, Frida Khalo, Susan Sontag, Pina Bausch, Fellini o i Beatles.
Perché pensare che le Lettere a Lucilio abbiano un valore più elevato e degno della nostra gratitudine del lavoro di Galileo Galilei o Guglielmo Marconi? Perché non aver rispetto ed essere lieti che si tramandi e si evolva l’opera oltre che di chi ci ha fatto delle bellissime poesie, anche di chi ci ha consentito di vederle davvero, le stelle?